L’organizzazione utilizzava anche vedette e macchine apripista per proteggere il viaggio di corrieri e spalloni. Il patto criminale siglato in un ristorante di Mammola. E un pentito accusa i Barbaro di aver organizzato i traffici
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Arrivava dalla Calabria il fiume di cocaina destinata a rifornire le piazze di spaccio di Palermo e di Trapani: la droga viaggiava nascosta dietro la targa di un camion o all’interno del serbatoio di carburante di un auto che trasportava una famiglia con bimbi piccoli al seguito, e i soldi facevano il percorso inverso all’interno di valige caricate di mazzette di denaro. Un traffico più che fiorente e che, sostengono i magistrati della Procura di Palermo che mercoledì hanno disposto l’arresto di una ventina di persone – tra capi, corrieri e spalloni – era destinato a vedere crescere i propri volumi di affari.
È Fabio Santangelo il personaggio cardine dell’indagine: è lui che avrebbe organizzato la capillare rete di spaccio attiva in tutta la Sicilia occidentale ed è lui, dicono le indagini, a creare la rete di contatti che dalla Locride e dalla Piana di Gioia era capace di rifornire l’associazione con quintali di droga. Contatti pesanti che Santangelo avrebbe intessuto con famiglie di prima importanza nel panorama criminale calabrese e che sarebbero stati imbastiti anche grazie ad una vacanza di famiglia che l’indagato avrebbe trascorso in Calabria e che sarebbero stati suggellati con una cena in un ristorante di Mammola.
È il collaboratore di giustizia Antonio Tanchida a raccontare agli inquirenti il legame che uno dei fornitori, Saverio Zoccoli, avrebbe avuto direttamente con i Barbaro, che del traffico di droga sull’asse Calabria Sicilia sarebbero stati i veri organizzatori. Secondo Tanchida infatti i Barbaro, negli anni, erano riusciti a costruirsi una rete di compratori in grado di coprire ampie fette di mercato sull’altra sponda dello Stretto. Un “mercato” conveniente, sempre in crescita e costantemente alla ricerca di nuovi capitali con cui aumentare il giro d’affari, tanto che racconta ancora Tanchida, Zoccoli gli aveva proposto un acquisto direttamente al porto di Gioia: un affare che avrebbe fruttato margini di profitto altissimi ma che, in caso di sequestro da parte delle forze dell’ordine, avrebbe comportato la totale perdita dell’investimento.
E se Zoccoli sarebbe stato uno dei punti di contatto tra l’organizzazione calabrese e quella siciliana – è sempre Zoccoli, dicono le carte, a rifornire gli indagati con criptofonini – , la rete di corrieri incaricati di trasportare i carichi attraverso lo Stretto era formata da insospettabili che utilizzavano anche auto e camion modificati. Come nel caso di Simone Ferraro, giovane sidernese “beccato” dalla guardia di finanza nei dintorni di Palermo con un carico di oltre 30 chili di cocaina nascosti nel bagagliaio. Un viaggio che era stato predisposto nei minimi dettagli e che, per oltrepassare i possibili posti di blocco agli imbarcaderi, era stato preceduto da una vedetta incaricata di fare da apri pista all’auto imbottita di droga e su cui viaggiavano, oltre alla compagna di Ferraro, anche le loro figlie piccole.
O come nel caso del trasferimento di denaro per il saldo di un rifornimento precedente: in questo caso le fiamme gialle, dopo avere monitorato l’incontro a Palermo tra il calabrese Pasqualino Minutolo e Santangelo, avevano fermato l’utilitaria utilizzata del corriere agli imbarcaderi di Messina trovando, all’interno del bagagliaio un borsone carico di decine di mazzette di denaro sistemate in buste sottovuoto da 10 mila euro per una somma totale di quasi 600 mila euro.