Nella sentenza di primo grado del processo "Crypto", l'indagine della Dda di Reggio Calabria, emergono anche le posizioni di quegli imputati che sono stati assolti dal gup di Reggio Calabria Giovanna Sergi dall'accusa di far parte di un'associazione a delinquere dedita al narcotraffico. Parliamo di Filippo Angelica, Maurizio Caruso, Massimiliano Guerra, Massimiliano Mirra, Michele Saccotelli, Manuel Spagnoli, Marco Truono e Vincenzo Vergei.

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Nel provvedimento, si legge che «il giudice di merito parla anzitutto di Filippo Angelica e Marco Truono, i quali, clienti del gruppo a cui si affidavano per il consumo personale di droga, non risultano assumere un ruolo specifico nella compagine criminale. Al di là dei dialoghi esaminati, sugli imputati non vi sono ulteriori elementi e tanto basta ad escluderne la ricorrenza affaristica che governa l’appartenenza adesiva. I suddetti imputati devono, quindi, essere assolti dal reato loro contestato al capo A della rubrica con la formula indicata nel dispositivo».

«Quanto, poi, a Maurizio Caruso, Massimiliano Guerra, Vincenzo Vergei, Michele Saccotelli, Manuel Spagnoli e Massimiliano Mirra, per i quali risulta acclarata l’attività di detenzione finalizzata allo spaccio dello stupefacente, deve osservarsi come gli elementi di prova raccolti a loro carico non permettano di ritenere la loro partecipazione al sodalizio investigato, indimostrata la consapevole adesione ad un costrutto associativo più ampio quale è quello oggetto di contestazione. Anche i predetti imputati devono, quindi, essere assolti dal delitto contestato al capo A della rubrica con la formula del non aver commesso il fatto».

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 Inoltre, la sentenza spiega anche le assoluzioni di Rosario Zagame, Rocco Cacciola, Simone Pronestì e Francesco Barone. Nello specifico, il gup Sergi scrive che non è provata la penale responsabilità di Rosario Zagame in una vicenda che riguarda la capacità dell'associazione dedita al narcotraffico di trattare la vendita di sostanza stupefacente anche a Malta, ma per il giudice «la piattaforma probatoria non rassegna elementi certi di un suo coinvolgimento nella vicenda in addebito» da parte di Rosario Zagame. E ancora: «Il solo utilizzo, infatti, dei dati della carta di identità dell’imputato da parte di uno dei trasportatori, in mancanza di ulteriori elementi che riconducano la contraffazione allo Zagame o che dimostrino un suo specifico contributo con riguardo ai fatti contestati al capo A10, non si dimostra individualizzante nei termini proposti dagli investigatori; piuttosto, richiamando i margini traballanti del mero sospetto, ben può trovare spiegazione anche in causali alternative capaci di screditare la tesi di accusa».

Riguardo alla posizione di Rocco Cacciola, in riferimento a un viaggio a Rivoli, comune situato vicino Torino, circa la cessione di un ingente quantitativo di cocaina, il gup Sergi evidenzia che «seppur sia stato confermato dal predetto nel corso dell’interrogatorio di garanzia lo pseudonimo di Zaz, deve osservarsi come, alla luce delle ferme negazioni dell’imputato in ordine alla vicenda contestata e delle dichiarazioni spontanee rese dal fratello Giuseppe Cacciola (il quale, dopo essersi avvalso della facoltà di non rispondere al gip, teneva a precisare di essere lui lo Zazzo dei dialoghi e non il fratello), sussistono sufficienti elementi per far dubitare di un suo diretto coinvolgimento nella vicenda. Peraltro, lo stesso Vincenzo Raso nella memoria trasmessa, nell’ammettere di aver contratto il debito con Giuseppe Cacciola, nulla diceva in ordine al fratello di questo, ossia a Rocco Cacciola e tanto irrobustisce le negazioni dell’imputato circa il suo coinvolgimento nei fatti in contestazione».

In un altro capo d'imputazione invece si parla di Simone Pronestì che, al contrario dei fratelli, viene ritenuto «estraneo agli affari associativi del gruppo organizzato (non risultano, infatti, altri riferimenti all’imputato nel corso dell’intera attività di indagine)», palesando quindi come una «presenza occasionale e limitata ad una singola vicenda» e ciò «tanto basta a far sorgere il dubbio circa un suo coinvolgimento che, anche in punto di contributo materiale all'affare illecito in contestazione, si dimostra traballante e alquanto fumoso e non diverso dalla connivenza».

Infine, non dimostrata dal compendio accusatorio la partecipazione ai capi ascritti di Francesco Barone. Anche per lui è pervenuta una sentenza assolutoria.