Esattamente trent'anni fa, il primo ottobre del 1994, dopo due giorni di agonia Nicholas Green moriva al Policlinico di Messina. Il 29 settembre era stato raggiunto da un proiettile mentre viaggiava in auto con la sua famiglia lungo la Salerno-Reggio Calabria, nel corso di un tentativo di rapina. Per quel delitto furono condannati in via definitiva in due: Michele Iannello all'ergastolo e Francesco Mesiano a 20 anni. Oggi, proprio quest'ultimo, chiede la revisione del processo.

Mesiano nel 2009 ha finito di scontare la condanna comminatagli dalla Corte d'assise d'appello di Catanzaro, che riformò una sentenza di ergastolo decisa in primo grado, ma è attualmente detenuto, con l'accusa di associazione per delinquere di tipo mafioso, perché coinvolto nell'inchiesta Maestrale-Carthago condotta dalla Dda di Catanzaro.

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Ed è proprio dal carcere che Mesiano ha fatto pervenire all'Ansa una lettera, scritta in occasione del trentesimo anniversario dell'assassinio di Nicholas Green, in cui ribadisce, come ha sempre fatto, peraltro, di non essere stato lui ad assassinare il bambino statunitense. «Non immaginavo mai, se non vivendolo sulla mia pelle - scrive Mesiano nella missiva - che dovessi trascorrere la mia giovinezza in carcere per un omicidio che non ho mai commesso. Sono passati trent'anni, ormai, ma pensavo, avendo scontato fino all'ultimo giorno la mia condanna, che l'incubo fosse finito. Ed invece mi ritrovo ancora in carcere per un'accusa ancora una volta infondata a mio carico. E questo contrariamente a quanto affermano i collaboratori di giustizia, veri o falsi che siano, ma falsi nel mio caso, che per chissà quale scopo continuano ad infangarmi». 

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Francesco Mesiano, nella lettera, si dice «ancora speranzoso che venga disposta la revisione del processo per un omicidio - afferma - che ho pagato da innocente in modo che nessuna ombra di dubbio permanga sulla mia persona. E combatterò per questo finché avrò respiro, appoggiandomi ai miei valorosi avvocati, Michelangelo Miceli e Francesco Calabrese, che hanno creduto e stanno lottando tuttora per me. Spero - dice ancora Mesiano - che la giustizia possa prendere coscienza della situazione e lasciarmi vivere una vita di pace da persona libera come lo ero un tempo, dedita al lavoro, alla fede cristiana ed al rispetto per il prossimo».