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Getta un fascio di luce anche sui rapporti fra diverse “famiglie” di Mileto e sulle dinamiche criminalidegli ultimi anni nel paese, l’operazione “Miletos” del pm della Dda di Catanzaro alla quale ha fornito un importante contributo pure il pm della Procura di Vibo Valentia, Benedetta Callea. Un’indagine complessa che va a rileggere diversi avvenimenti, tutti utili a fornire un quadro più definito degli organigrammi dei clanpresenti su una porizione del territorio vibonese e non solo. Un ruolo importante in tali dinamiche criminali - stando a quanto emerge dalle indagini dei carabinieri del Nucleo Investigativo di Vibo (come già quelle della Guardia di Finanza relative all’operazione “Stammer” scattata lo scorso anno contro il narcotraffico) - avrebbe continuato ad esercitare Pasquale Pititto. Di recente sottoposto al regime del carcere duro (41 bis), condannato all’ergastolo per l’omicidio di Pietro Cosimo - commesso a Catanzaro nei primi anni ’90 su mandato del boss del Gaglianesi, Girolamo Costanzo - ed a 25 anni quale esecutore materiale nel 1991 dell’omicidio di Vincenzo Chindamo ed il ferimento del fratello Antonino (fatti di sangue commessi a Laureana su mandato del boss Giuseppe Mancuso di Limbadi), Pasquale Pititto pur in carrozzina da diversi anni in quanto rimasto ferito in un agguato avrebbe incontrato dagli arresti domiciliari diversi sodali del clan e del locale di ‘ndrangheta di Mileto. Da un immobile attiguo alla propria abitazione, il capo dell’omonimo clan avrebbe infatti usufruito di un ulteriore accesso per incontrare liberamente chiunque si recava a trovarlo. E proprio nel corso di un summit presieduto dallo stesso Pasquale Pititto sarebbe stato dato il via libera all’omicidio di Angelo Corigliano. Fatto di sangue richiesto da Francesco Mesiano per vendicare la morte del padre Giuseppe.
Gli scontri tra le famiglie Mesiano e Corigliano
Dall’inchiesta “Miletos” emergono poi gli scontri sulla pubblica via fra le famiglie Mesiano e Corigliano, entrate in rotta di collisione: prima per l’invasione dei bovini dei Mesiano sui terreni dei Corigliano, quindi per il rifiuto di Angelo Corigliano di toccare un suo parente titolare di un supermercato che aveva smesso di rifornirsi dal panificio dei Mesiano, poi il botta e risposta con gli omicidi di Giuseppe Mesiano e dello stesso Angelo Corigliano. Infine gli scontri in strada preceduti dal tentativo di Francesco Mesiano (in libertà dopo aver scontato 20 anni per l’omicidio del piccolo Nicholas Green) di investire con l’auto la madre di Angelo Corigliano. «Vi meritate tutti ammazzati, dovete scomparire da Mileto, hai visto come abbiamo ammazzato tuo figlio?» le frasi pronunciate nel dicembre 2013 dai Mesiano sulla pubblica via contro i Corigliano. Un odio manifestato platealmente, prologo di possibili nuove rappresaglie ieri stoppate dalla Dda di Catanzaro. Agli atti dell’inchiesta, infatti, anche il proposito di Giuseppe Corigliano – finito nel 2013 in carcere per armi – di vendicare l’uccisione del figlio Angelo facendosi aiutare dal suo compagno di cella: un appartenente alla famiglia degli zingari dei Passalacqua di Catanzaro. Dalla parte dei Mesiano, invece, l’inchiesta dei carabinieri e della Dda di Catanzaro avrebbe permesso di capire che dopo l’omicidio di Giuseppe Mesiano sarebbe stato il fratello Pasquale a prendere le redini della famiglia, coadiuvato dal nipote Fortunato Mesiano, figlio dell’assassinato Giuseppe. I due, zio e nipote, non avrebbero mancato di stigmatizzare il comportamento di Francesco Mesiano (altro figlio di Giuseppe e quindi fratello di Fortunato) facendo ricadere proprio sul congiunto la responsabilità degli avvenimenti che hanno portato alla faida con i Corigliano ed all’omicidio di Giuseppe Mesiano.
Fortunato Mesiano all’epoca dell’omicidio del padre (17 luglio 2013) si trovava in carcere poiché accusato di aver aperto il fuoco sul corso di Mileto, il 31 dicembre 2012 all’indirizzo di Michele Tavella, ritenuto elemento di peso dell’omonima e contrapposta “famiglia”. Lo stesso Michele Tavella poi trovato morto il 6 luglio 2013 in un burrone di campagna mentre si trovava alla guida del suo trattore. Un incidente dietro il quale gli stessi carabinieri inizialmente sospettavano potesse nascondersi un omicidio, ipotesi però poi caduta definitivamente. A portare quindi gli investigatori a comprendere che dietro l’omicidio di Giuseppe Mesiano nulla avevano a che vedere i Tavella, anche due circostanze significative. Ai funerali di Michele Tavella l’8 luglio 2013 partecipa infatti anche Giuseppe Mesiano (poi ucciso il 17 luglio successivo), mentre ai funerali di Giuseppe Mesiano i carabinieri notano anche la presenza della madre di Michele Tavella. Tutto ciò a conferma del superamento delle tensioni insorte fra le famiglie Mesiano e Tavella, con la pista dei contrasti con i Corigliano che si rivelerà per gli investigatori quella giusta per inquadrare e far luce sul delitto di Giuseppe Mesiano.