C’è una data che segna una sorta di spartiacque nell’inchiesta “Metauros”. È l’11 marzo 2013. Quella mattina dall’apparecchio degli inquirenti partì un fax. Doveva essere diretto al gestore della linea telefonica messa sotto controllo. Invece fu inviato, per un mero errore materiale, al numero della ditta “Sea works”, di Paolo Pisano. Proprio l’utenza per la quale si stava disponendo la proroga delle intercettazioni. L’incredibile disguido portò gli indagati a conoscere dell’indagine a loro carico, con un congruo tempo d’anticipo, incidendo in qualche modo sulla raccolta di elementi investigativi a cario dei fratelli Pisano.

L’arrivo del fax errato

È un dipendente dell’azienda ad accorgersi per primo dell’arrivo del fax con intestazione Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Scatta subito la preoccupazione, tanto da contattare immediatamente il titolare, Giuseppe Pisano, a recarsi con urgenza negli uffici della ditta per visionare quello “strano” documento. «Passa dall’ufficio – scrive il dipendente nell’sms – che ti devo fare vedere un documento importante». «Cioè – risponde Pisano – A nome mio o di Paolo?». La replica è chiara «A nome della ditta Pisano».

 

L’allarme della compagna

In un primo tempo Pisano ritiene di collegare quell’atto all’inchiesta nata dalla denuncia fatta per le minacce subite nel febbraio 2012. Poi decide di chiamare la compagna, ossia l’ispettrice di polizia, finita anche lei nell’inchiesta con l’accusa di rivelazione di segreto e accesso abusivo al sistema informatico delle forze dell’ordine. Le immagini di quell’atto vengono inviata tramite whatsapp per essere più sicuri di non venire scoperti. La conversazione fra i due chiarisce i contorni della vicenda.

Donna: Ma scusami, fammi capire… mi hai mandato tu queste cose che ti sono arrivate a te?

Pisano: Eh…

Donna: E ma come è possibile che ti sono arrivate queste cose?

Pisano: E che ne so? Via fax…

Donna: E dammi il numero del fax tuo che ora chiamo… cioè queste sono proroghe di intercettazione telefonica… è un errore… è un errore… queste andavano sicuro al commissariato non alla tua agenzia… questi sono atti interni

Pisano: No… non hai capito, mi sono arrivati all’ufficio, non in agenzia, all’ufficio mio

Donna: Bravo… ti sono arrivati all’ufficio ma per sbaglio, questi sono atti interni di … nostri… di polizia… non potrebbero mai e poi mai arrivare ad una persona

Pisano: ho capito e che devo fare io?

Donna: Dammi sto numero di fax

Pisano: Eh?

Donna: Dammi il numero di fax dell’ufficio tuo

Pisano: È quello là… c’è scritto

Donna; No, non l’ho… non l’ho letto

Pisano: No forse mi sto spiegando male io… quello è il contenuto che porta quelle lettere, in quel contenuto c’è il numero di fax della mia utenza, forse non mi sto spiegando

Donna: Come della tua utenza? Quello è il numero? E allora che c’è l’utenza sotto controllo?

Pisano: E che so? Io te li ho mandati a te… io che ne so?

(…)

Donna: E perché non mi hai chiamato subito? Non me lo hai detto subito?

Pisano: E perché ora me lo ha… e ora me lo ha detto il ragioniere… io che ne sapevo?

Donna: Uhm… va bene… okey ti faccio sapere qualcosa

Pisano: Ciao. Ma non è che per la pratica mia per quel problema che ho avuto

Donna: Eh… Giuseppe quella è Dda… Dda Reggio Calabria che sta mandando

Pisano: Io non ho idea… che ne so

Donna: No, ma credo sia un errore comunque… però non capisco… non capisco

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«Avete il telefono sotto controllo»

Si muove subito, la compagna poliziotta. E suggerisce a Pisano anche quale possa essere l’argomento dell’inchiesta: il rigassificatore. È per questo che immediatamente va da un collega più esperto, uno che possa farle comprendere cosa stia accadendo e per farsi consigliare.

Donna: Avete il telefono sotto controllo… c’è un procedimento della Dda e per errore è arrivata a voi… è un errore… è chiaro che è un errore e bisogna dirlo subito

Pisano: Eh…

Donna: No va be tu non… io vado da … a sto punto gli dico tutto e gli chiedo un consiglio perché non so se io ora chiamo direttamente la Squadra mobile

Pisano: Eh ma tu che c’entri scusa? Se è una cosa che riguarda noi… vado io con le carte da un avvocato io che ne so? Cioè io non so che dirti

Donna: E va be io sono la ragazza tua, Giuseppe

Pisano: Si va be però ora non è che vedi che io non ti metta in qualche imbroglio… in qualche casino… è una cosa che mi devo gestire io… che discorsi sono? Tu che devi andare? Io gli porto le carte che mi sono arrivate per sbaglio da un avvocato e… ho un procedimento in corso di che cosa? Minchia! Con tutto quello che stiamo passando pure il procedimento!

(…)

Donna: E poi… non… duemila e dodici… significa che è dall’anno scorso che è iniziato sto procedimento

Pisano: Ma non è che la cosa ah… è un procedimento

Donna: No, Giuseppe quella è una proroga di intercettazione telefonica

Pisano: E va be io non… male non fare e paura non avere

Donna: Ma infatti mi pare una cosa stranissima, a meno che non ci sia un procedimento sul rigassificatore e cose… e ci sono diverse utenze sotto controllo

 

Nel prosieguo della conversazione la donna fa capire sostanzialmente al compagno che la loro utenza è sotto controllo perché c’è un’indagine a carico e che quel fax è un errore grave, perché non doveva arrivare a loro. Si decide, quindi, di andare da un avvocato per comprendere il da farsi, mentre la donna ammette di voler andare dal collega più esperto. Il disappunto dell’ispettrice è palese: «Mi è venuto un dolore di stomaco, mi sento malissimo proprio…». Pisano replica ridendo: «Ho capito, a me mi viene da ridere invece». La compagna lo riporta sulla via più guardinga, intuendo il pericolo: «No a me da rider… perché è una cosa proprio, cioè tu non ti rendi conto che a parte l’errore e l’assurdità che hanno fatto».

Alla fine, decidono di andare al commissariato e portare il materiale ricevuto per sbaglio. Ma i Pisano ritengono opportuno sospendere l’utilizzo della loro utenza telefonica o comunque utilizzarla per argomenti prettamente lavorativi, cambiando abitudini. Giuseppe Pisano fa ricorso ad un’altra utenza, intestata e fornita dalla compagna che, quindi, scrivono i giudici «pur avendo compreso la gravità e delicatezza della situazione, si prestò a concedere una sorta di ausilio».

 

Il succo delle conversazioni

Dalle chiacchierate fra la donna e il suo compagno, viene fuori la forte preoccupazione di entrambi per l’attività della Dda, ma anche la convinzione dell’ispettrice che l’indagine nasceva proprio per il rigassificatore, ma che la stessa sarebbe andata a finire con esito negativo, considerato che l’attività era stata avviata un anno prima. La poliziotta ipotizzava fossero state intercettate una serie di aziende interessate alla gestione del termovalorizzatore e che il compagno non avesse nulla da temere, non avendo vissuto nell’illecito. Ma l’uomo ironizzava: «Stai attenta a non bruciartela!». Per gli inquirenti si tratta di un’ammissione di colpa, condita dal commento successivo della donna che invitava Pisano a non fare simili affermazioni neanche per scherzo.

 

I magistrati riportano anche come la poliziotta si sia lasciata andare a commenti sprezzanti sull’operato degli inquirenti, utilizzando termini offensivi verso i colleghi. Poi la riflessione e l’invito: «Ora cerchiamo insomma di… di non parlarne e di stare tranquilli, tanto se ci dovesse essere qualcosa X (un ispettore di polizia) penso che mi… me lo fa sapere… non è che non mi… uno squillo me lo fa». Ma è evidente che nessuno avvisò nessuno. Perché qualcosa c’era. Era l’inchiesta “Metauros” che stava bollendo in pentola, lentamente ma in modo inesorabile. Fino all’epilogo di giovedì scorso con i fermi, poi tramutatisi in ordinanza di custodia cautelare.

Consolato Minniti