Fra i diversi episodi di usura contemplati nell’inchiesta, uno in particolare conferma come tale attività criminale sia molto più di una piaga sociale. È semmai una pandemia silenziosa che dilaga quando l’usurato diventa untore e finisce per trascinare negli abissi chiunque gli si avvicini. Nessuno può sentirsi immune dal rischio di contagio, i familiari della vittima in primis, ma neanche gli aguzzini. E talvolta, per un eccesso di avidità, nella rete cade anche qualche insospettabile professionista. In questo caso un avvocato.

Un debito da 150mila euro

Gli eventi verificatisi alla fine del 2018 e descritti dagli investigatori attraverso una serie di intercettazioni esplicite – telefoniche, ambientali e telematiche –  segnano il coinvolgimento iniziale di uno dei sette re di Cosenza, Roberto Porcaro, e di una persona ritenuta a lui molto vicina, Antonio Russo.  È lui che, nel 2015, presenta al boss suo cugino, un pensionato di 73 anni residente nell’hinterland, che in quei giorni cerca un finanziatore in grado di prestargli settantamila euro. Promette di restituirli in poco tempo e Porcaro acconsente, ma come avviene spesso in questi casi, il pagamento delle rate è dapprima puntuale, poi saltuario e infine si arresta del tutto. Il tasso d’interesse è esorbitante – il sessanta per cento – ragion per cui nel giro di tre anni il debito raddoppia. E considerato che, nel frattempo, ha chiesto un’integrazione al prestito di altri diecimila euro, si ritrova esposto per ben 150mila. Brutta storia.

Addio casa e Tfr

Per l’anziano ha inizio un inferno di pressioni, avvertimenti, e in un’occasione forse anche di botte, finché ormai stremato decide di passare all’azione. Sua moglie, anche lei in pensione, sta per ricevere un Trattamento di fine rapporto (Tfr) che ammonta proprio alla cifra da restituire al boss, così decide di consegnargli l’intera somma e, nel frattempo, medita di vendere casa per estinguere il resto del debito in un secondo momento.

La sua rovina sta per compiersi, ma non solo la sua. Il 73enne, infatti, si confida con il proprio avvocato, Rosa Rugiano del foro di Castrovillari, e la donna accetta di incontrare personalmente Porcaro per illustrargli il Piano di rientro proposto dal suo cliente, cosa che in effetti avviene il 14 dicembre del 2018. «Ho fatto la mia buona azione di Natale» dirà in seguito, non sapendo di essere intercettata, ma il sospetto è che a muoverla non fossero solo intenti umanitari. In passato, ha difeso quell’uomo in una causa civile e aspetta ancora di essere retribuita per l’incarico svolto. Anche lei, dunque, attende con impazienza l’arrivo di quel Tfr che ora, però, rischia di vedere trasmigrare altrove. La Dda ne è certa: si presenta al cospetto di Porcaro per difendere la propria parcella.

Da carnefice a vittima

L’incontro sembra andare a buon fine, ma subito dopo Natale il vice di Patitucci cambia strategia e si rivolta contro Russo, il complice che aveva fatto da garante nella trattativa. Gli intima di risolvere il problema e minaccia di chiamarlo al pagamento in solido del debito contratto dal cugino. Il diretto interessato la prende male. Già la semplice minaccia ricevuta da una persona che riteneva amica, lo ha scosso parecchio. «Solo io gli ho fatto guadagnare tre…quattrocentomila euro» spiega al telefono, facendo riferimento ad altre presunte operazioni usuraie mediate in passato, ma la sua amarezza si amplifica per ciò che accade il 27 dicembre in un magazzino che ha dato in locazione a un commerciante.

Porcaro si presenta nel negozio e con modi gentili – immortalati da captazioni telematiche – spiega all’affittuario che, a partire dal mese successivo, i canoni mensili dovrà consegnarli a lui e non più al proprietario. Anche Russo è ora ufficialmente nei guai. «Mi sta facendo un’estorsione» è il suo sfogo del momento, e dalla clinica in cui è ricoverato chiede a sua moglie, Aurelia Braccioforte, di pressare il cugino per indurlo a mettersi a posto una volta per tutte con il suo ingombrante creditore. La donna esegue il compito e, per questo motivo, oggi si ritrova anche lei “contagiata” e in quarantena ai domiciliari.

Il denaro nella borsetta

La stessa destinazione che di lì a poco attende Rosa Rugiano, alla quale il gip risparmia comunque l’aggravante della finalità mafiosa. Il 10 gennaio, infatti, la sospirata liquidazione del Tfr è cosa fatta. Il pensionato preleva diecimila euro in banca e si accinge a versare a Porcaro la prima delle maxirate. Per motivi imperscrutabili, è ancora il suo avvocato che si occupa della consegna dei soldi. Alla guida della propria auto, con il cliente seduto di fianco, l’avvocato si dirige verso l’abitazione del boss nei pressi di via degli Stadi. L’appuntamento va a vuoto perché lui non è in casa, ma nel frattempo le telecamere dei carabinieri filmano tutta la scena, e poco dopo, una pattuglia le intima l’alt a un posto di blocco.

Nella sua borsa c’è la busta con i contanti, ma i militari non gliela sequestrano, simulano un normale controllo con l’obiettivo di identificarla e la lasciano andare via. «Tremava tutta, poverina. Aveva fatto la faccia bianca», racconterà in seguito il 73enne a suo cugino. «Addirittura ha spento il telefono, ha staccato la batteria e ha detto: sicuramente sono sotto controllo» Già, sicuramente.