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«Eseguita la più truce delle condanne a morte». La sofferenza della comunità per la vita straziata di Matteo Vinci, assassinato dall’autobomba del 9 aprile, riecheggia nell’aula del consiglio comunale aperto di Limbadi. Affiancata dalla nuora e dal suo legale, c’era anche Rosaria Scarpulla, la madre della vittima. Il sindaco Pino Morello, che invoca dalle istituzioni quell’attenzione che qui forse non c’è mai stata e che confida nell’azione del procuratore Gratteri e dei suoi uomini, è a lei che rivolge il suo primo pensiero. Bacchettata la politica, ricordata l’assenza dei parlamentari del territorio, arriva l’impegno: nel giorno delle esequie di Matteo sarà dichiarato il lutto cittadino e massimo sarà lo sforzo affinché ci siano funerali di Stato, così come già richiesto dall’avvocato dei Vinci, Giuseppe Antonio De Pace, e perché a Matteo venga riconosciuto lo status di vittima di mafia.
Anche la consigliera Rosalba Sesto, tra le principali protagoniste delle iniziative degli ultimi giorni, dalla fiaccolata di sabato sera al primo mazzo di fiori sulla strada desolata teatro dell’attentato, si rivolge a mamma Sara.
Limbadi riscopre la vicinanza di alcune delle amministrazioni comunali del territorio. Ci sono la Cgil, una rappresentanza del Partito democratico provinciale e della Chiesa. Molti inviano dei messaggi di accorata vicinanza alla comunità e alla famiglia di Matteo: quanto veri sarà il tempo a dirlo. In aula c’è anche chi contro le bombe e gli attentati ha combattuto per una vita, come Peppino Lavorato, il sindaco coraggio di Rosarno, colui che vide spirare tra le sue braccia Peppino Valarioti. L’orrore di una vita spezzata così crudelmente è forse servito o svegliare le coscienze. Il fuoco della ribellione civile adesso non si spenga, né si soffochi. Lo si alimenti.
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