Nei suoi trent’anni esatti di invisibilità, l’ombra di Matteo Messina Denaro alias “Diabolik”, oggi arrestato, ha aleggiato spesso e (mal)volentieri sulla Calabria. In particolare sulla provincia di Cosenza, fra avvistamenti improbabili in quel di San Lucido e battute di caccia dei carabinieri (Amantea) con rastrellamenti casa per casa che, in assenza di smentite ufficiali, la volontà popolare ha attribuito proprio alle sue ricerche. Suggestioni per lo più, che nel tempo hanno colorato ulteriormente in toni di grigio i contorni di un personaggio a due dimensioni: non solo Capo dei Capi, potente e indiscusso, ma anche spettro di cui percepire la presenza minacciosa.

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Due covi fra i vigneti

C’è però una traccia molto più concreta che lega l’ex imprendibile al Cosentino, ed è una pista suggerita da un collaboratore di giustizia. A sentir lui, Diabolik potrebbe aver trascorso davvero del tempo a pochi chilometri dalla città capoluogo, in un paesino delle Serre chiamato Mendicino. È lì, nella terra degli antichi entri, fra orticelli e vigneti, che nei primi anni del Duemila Cosa nostra avrebbe investito dei soldi, destinandolo all’acquisto di un paio di appartamenti. Due covi che, fra le altre cose, sarebbero serviti a ospitare il più famigerato degli inquilini.

Gli emissari di Riina

Di questo e altro, parla il pentito Luigi Paternuosto, di professione cuoco, ma anche ex “azionista” di un clan cittadino - quello del rione San Vito - che dal 2011 collabora con la giustizia. Durante un interrogatorio sostenuto a maggio di quell’anno con i magistrati della Dda di Catanzaro, racconta di quando due emissari di Totò Riina e Messina Denaro calano a Cosenza per concludere l’acquisto delle abitazioni. «So che l’affare andò in porto, ma non so indicare dove siano questi appartamenti. Si trovano comunque sulle quattro strade di Mendicino, prima di arrivare al paese».

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L’amicizia con Cicero

Secondo Paternuosto, gli inviati da Corleone si rivolgono a loro in virtù dell’amicizia che all’epoca lega Totò Riina a Domenico Cicero, allora capo del gruppo ma oggi in carcere per scontare l’ergastolo. Alla fine degli anni Novanta, Cicero esce assolto da un processo – nome in codice “Ferry boat” - che lo vede sotto accusa per traffico d’armi insieme a Filippo Graviano, boss del quartiere Brancaccio di Palermo. E proprio in quel periodo, a detta dell’ex cuoco, matura l’amicizia fra lui e Riina, tant’è che una decina d’anni più tardi, gli uomini di zu Totò si sarebbero ricordati di Cosenza per concludere i loro investimenti immobiliari.

Sequestri e sospetti

L’idea che quelle abitazioni servissero proprio a nascondere qualche latitante, compreso Messina Denaro, sembra trovare riscontro nelle dichiarazioni rese nel 2015 da un altro pentito – Adolfo Foggetti – e soprattutto nel sequestro di beni per 22 milioni di euro, eseguito sempre nel 2011, a scapito di un gruppo di siciliani finiti in manette due anni prima con l’accusa di aver favorito la latitanza del superboss. In quel caso, nell’elenco di beni sottratti loro dagli inquirenti, figuravano alcuni appartamenti ubicati proprio a Mendicino.

Fra cronaca e storia

Realtà o fantasia? Un dubbio che potrebbe essere fugato qualora, in occasione dell’arresto più eccellente dell’ultimo ventennio, gli investigatori decidano di mettere in tavola tutti gli atti d’indagine che documentano un lungo inseguimento cominciato nel 1993 e conclusosi poche ore fa in una clinica alla periferia di Palermo. Messina Denaro o meno, l’esistenza nel recente passato di un’asse criminale Corleone-Cosenza, è ben più di una semplice suggestione. Questa, però, è un’altra storia.