Il procuratore capo di Palermo Maurizio De Lucia, insieme al procuratore aggiunto Paolo Guido, originario di Cosenza, ha chiesto l’applicazione del regime speciale del 41 bis per il superboss di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro, arrestato oggi a Palermo mentre era nella clinica “Maddalena” per sottoporsi alle cure chemioterapiche.

La decisione se applicare il regime di carcere duro all’ex latitante di Castelvetrano spetta al ministro della Giustizia Carlo Nordio. L’annuncio è stato fatto in conferenza stampa, alla quale hanno partecipato i vertici dell’Arma dei carabinieri e in particolare del Ros, reparto speciale dei carabinieri che ha lavorato notte e giorno per catturare l’ultimo stragista degli anni 1992-1993.

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Il procuratore Paolo Guido: «Le condizioni di salute di Matteo Messina Denaro compatibili con il carcere»

«Al momento le condizioni sono compatibili con la detenzione in carcere. Ancora, in questo momento, non possiamo rispondere su quale sarà la struttura penitenziaria a cui sarà destinato Matteo Messina Denaro» ha detto il procuratore Paolo Guido davanti ai cronisti presenti a Palermo. «Era ben vestito, di buon aspetto, indossava dei beni decisamente di lusso, da questo possiamo desumere che le sue condizioni economiche in questo momento erano tutt'altro che difficili” ha aggiunto il magistrato calabrese Paolo Guido. In particolare, avrebbe indossato un orologio, un Frank-Miller dal valore da 30-35mila euro. “Sono in corso attività di indagine sul territorio trapanese da cui trarremo elementi ma da cui emerge piena fiducia su Matteo Messina Denaro. Fino a ieri continuava a essere il capo della provincia. Da domani vedremo" ha dichiarato il procuratore aggiunto di Palermo Paolo Guido. Non abbiamo trovato un uomo distrutto, in apparente buona salute, ben curato. In linea con un uomo di 60 anni di buone condizioni economiche. Non poteva affidarsi a personaggi lontani dal contesto territoriale ma su questo stiamo procedendo ad approfondimenti investigativi» ha sottolineato il numero due della procura di Palermo, originario di Acri, comune della Sila cosentina. «Il boss comunque non era armato».

Le parole del procuratore capo di Palermo Maurizio De Lucia

«La latitanza di Matteo Messina Denaro si è svolta in tante parti del territorio nazionale, nell'ultima parte nelle province di Palermo e Trapani» ha spiegato il procuratore di Palermo, Maurizio De Lucia nel corso della conferenza stampa sulla cattura di Messina Denaro. «Non lo abbiamo ancora interrogato, sono state raccolte solo due battute con la polizia giudiziaria», ha evidenziato il capo della procura di Palermo, insediatosi di recente nella città in cui lavorarono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. La stagioni delle stragi «era un debito che la Repubblica aveva nei confronti delle vittime di quegli anni che in parte è stato in parte saldato» ha detto il procuratore di Palermo, Maurizio De Lucia, nella sede del Comando Legione Carabinieri di Sicilia per illustrare i dettagli della cattura del boss Matteo Messina Denaro.

«Non abbiamo allo stato elementi sulla complicità da parte del personale della clinica, i documenti che utilizzava ad una prima lettura sembrano autentici. Gli accertamenti d'altro canto sono appena partiti. L'uomo che lo accompagnava è, come si dice, un perfetto sconosciuto se non per l'omonimia con un altro soggetto noto invece alle cronache, si chiama Giovanni Luppino e al momento è stato arrestato con l'accusa di favoreggiamento. Matteo Messina Denaro non parla, indicazioni non ne ha date e fino a stamattina non sapevamo neanche che faccia avesse. L'obiettivo primario era per noi la cattura» ha ricordato il magistrato Maurizio De Lucia, originario della provincia di Caserta, con un passato alla procura di Messina, evidenziando come Matteo Messina Denaro sia uscito dalla caserma “San Lorenzo” senza le manette. Circostanza riportata anche dal procuratore Paolo Guido in un passaggio successivo.

De Luca, però, non pensa assolutamente che la lotta a Cosa Nostra sia terminata: «Sarebbe l'errore più grave pensare che la mafia sia stata sconfitta. Quello di oggi è un passaggio importante, la gente ha gioito, ha applaudito i carabinieri che stavano lavorando». E ancora: «Senza intercettazioni non si possono fare indagini di mafia» ha detto De Luca, svelando che l’indagine sulla cattura di Matteo Messina Denaro è stata portata avanti su spunti e approfondimenti investigativi, senza l'apporto di collaboratori di giustizia o soffiate anonime. Tuttavia, sono in corso le indagini sulla rete di protezioni di cui ha goduto il super boss di Castelvetrano.

Il Comandante del Ros Pasquale Angelosanto

«Il documento trovato nelle mani del latitante a prima vista sembra autentico, dobbiamo aspettare accertamenti» ha dichiarato il generale Pasquale Angelosanto, comandante del Ros dei carabinieri, nella caserma Carlo Alberto Dalla Chiesa, a Palermo. «L'indirizzo è quello della persona titolare formale della carta di identità - ha aggiunto riferendosi alla carta di identità in possesso del boss Matteo Messina Denaro - ma il documento deve essere ancora oggetto di una analisi tecnico scientifica», ha ribadito Angelosanto.

«Avevamo indicazioni che una persona, il cui nome era quello in uso al latitante Messina Denaro (Andrea Bonafede), doveva sottoporsi a degli accertamenti. Ma l'accostamento di questa persona al latitante è stato fatto in ipotesi nei giorni passati ma solo oggi abbiamo avuto riscontro».

Il momento del blitz

«Quando abbiamo avuto contezza del fatto che il latitante era arrivato nella struttura sanitaria, è scattato l'intervento che era stato organizzato su più livelli, anche in una delle vie di accesso che doveva essere presidiata. Proprio nei pressi della clinica, il latitante è stato individuato e bloccato assieme al suo complice. Il latitante non ha opposto alcuna resistenza, si è subito dichiarato con il suo nome e cognome. Posso aggiungere che guardandolo c'era poco verificare perché realmente il volto è quello che ci aspettavamo di trovare» ha riferito il colonnello Giuseppe Arcidiacono, comandante provinciale dei carabinieri di Palermo.

In conferenza stampa anche il padre di Nino Agostino

Nel corso della conferenza stampa di magistrati e investigatori sulla cattura di Matteo Messina Denaro, Vincenzo Agostino, con la sua barba bianca, ha chiesto verità e giustizia sulla morte del figlio Nino, agente della polizia di Stato e della moglie incinta Ida Castelluccio, uccisi dalla mafia il 5 agosto 1989. «Ora che è stato arrestato Messina Denaro, si potrà – chiede alzando la voce - fare luce sui delitti? Avere la verità che noi familiari delle vittime chiediamo da decenni? Si potranno scoprire le complicità e porre fine ai misteri, prendere chi comanda e porre la parola fine?». Gli ha risposto subito il procuratore di Palermo, Maurizio De Lucia: «Era, è e resterà il nostro massimo impegno quello di giungere a questo risultato. Nessuna delle vittime di mafia dovrà rimanere senza una risposta».

Ecco quindi la risposta del procuratore De Lucia alle sollecitazioni di Vincenzo Agostino: «Io non posso assicurare la certezza della verità, ma nessuna delle vittime di mafia dovrà non avere una risposta. Tutto lo sforzo della procura che dirigo, dei magistrati e delle forze dell'ordine è volto a questo per rispetto di tutte le vittime di mafia, dei familiari, dei sopravvissuti. Faremo di tutto, non ci fermeremo» ha concluso il procuratore capo di Palermo.