'NDRANGHETA STRAGISTA | Il pentito Cosimo Virgiglio svela strategie e interessi sullo scalo calabrese. Dai container di Molé ai traffici di rifiuti e armi. Fra complicità e frizioni interne
Tutti gli articoli di Cronaca
PHOTO
‘Ndrangheta, servizi segreti italiani ed americani, pezzi di Stato che tradiscono ed un articolato sistema di potere massomafioso all’ombra delle gru del più importante porto del Mediterraneo: Gioia Tauro. È una deposizione particolarmente complessa quella del collaboratore di giustizia Cosimo Virgiglio, nel corso del processo “’Ndrangheta stragista”, in corso davanti alla Corte d’Assise di Reggio Calabria. Chiamato a testimoniare dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, Virgiglio ripercorre tutte le tappe che lo hanno condotto dagli esordi sino al momento in cui ha capito che rivolgersi alla ‘ndrangheta lo aveva rovinato.
La crescita e gli atti intimidatori
Cosimo Virgiglio in origine era un piccolo imprenditore. Avviata la sua attività nel 1995 come ditta individuale, diviene sempre più importante, fino a diventare una srl. «Un’attività che ho fatto crescere con tanti sacrifici – ricorda in aula – fino a quando non finii per attirare le attenzioni della ‘ndrangheta. Mi rifiutai di venire incontro alle loro richieste ed iniziarono le prime rapine, i primi furti, i danneggiamenti e gli attentati alle autovetture. Rischiai anche una rapina da 300mila euro e chiamai i carabinieri ma poi, per paura, non confermai nulla preferendo rivolgermi alla cosca Molè. Fu la mia fine».
Le frizioni fra cosche
Non si tratta certo di informazioni sconosciute quelle fornite da Virgiglio, ma di certo delineano con dovizia di particolari come funzionasse il sistema all’interno del Porto di Gioia Tauro diversi anni addietro, prima che le maglie dei controlli si stringessero notevolmente ed anche l’attività delle cosche subisse un brusco stop. E così Virgiglio ricorda che, come contropartita per la loro protezione, i Molè gli chiesero di far passare dei container provenienti dalla Cina e contenenti merce contraffatta. Il suo compito era quello di fare in modo che passassero dalla Dogana di Gioia Tauro senza problemi. «Io avevo la possibilità di farlo a livello documentale, mentre per quanto riguarda la corruzione del personale provvedeva lo stesso Rocco Molè grazie ai suoi rapporti». E Virgiglio ricorda anche di come lo stesso Rocco Molè avesse di fatto scalpitato per riprendersi l’egemonia sul territorio, dopo l’uscita da carcere, creando non poche frizioni con i Piromalli, fino ad essere ucciso. «Fino a quel momento storico, ossia alla costruzione di un capannone nel parco Annunziata, le due famiglie erano una cosa sola». Il pentito dovette accontentare le richieste dei rosarnesi e quindi della famiglia Pesce. Avendo un’azienda di autotrasporti, egli dovette fare in modo che anche loro potessero lavorare.
Le mani dei clan sul porto e il capitano Tracuzzi
Cosimo Virgiglio non si nasconde: in ragione della sua attività lavorativa egli conosceva molte persone che lavoravano all’interno del porto, così come della Dogana e della Guardia di Finanza. Ma non erano canali illeciti. «Molè, invece, aveva le sue conoscenze – dichiara il collaboratore – e si rivolse a quello che all’epoca era il direttore dello Svad ed a personale delle forze dell’ordine. Aveva una rete molto articolata. Ma le sue conoscenze e le mie rimasero sempre separate». Il teste ricorda poi un episodio emblematico: «Ci fu un momento in cui la Guardia di Finanza di Monopoli, arrivata la porto di Gioia Tauro, aveva fatto bloccare erroneamente un container di merce contraffatta di Molè. Lui, tramite un suo uomo, fece arrivare al porto l’ex capitano del Noe e poi appartenente alla Dia, il quale cercò di organizzare lo svincolo tramite del container tramite il direttore dello Svad. Si trattava del capitano Saverio Spadaro Tracuzzi». Un nome piuttosto noto quello fatto da Virgiglio, considerato che proprio Spadaro Tracuzzi risulta essere il capitano che fu arrestato per i suoi rapporti con la famiglia Lo Giudice. «Io non l’avevo mai conosciuto, lo feci in quell’occasione. Mi informai con l’allora direttore delle dogane Aldo Fracchetti e mi disse che era una persona che aveva favorito ed avallato traffici di rifiuti tossici al porto di Gioia Tauro».
La collaborazione con i servizi e la Cia
Ma c’è di più. Cosimo Virgiglio per un lungo periodo, dal 2001 sino al 2007, collaborò con i servizi segreti italiani, partecipando anche in prima persona ad alcune attività. È lui stesso a ribadirlo, spiegando che tutto nasce dalla sua affiliazione alla massoneria. Un percorso tortuoso, che da Messina lo porta sino a Roma, nel gruppo di potere dell’ambasciatore Ugolini, del quale, a detta dello stesso Virgiglio, faceva parte anche l’ex capo dei servizi, Nicolò Pollari. È questo il link che gli permette di entrare in contatto con una realtà nuova, ma per lui molto interessante. «Fui investito di questo compito a seguito dell’incontro con un maggiore della Guardia di Finanza che incontrai a Roma. C’erano anche un finanziere, tale Giacomo Venanzio e un maresciallo dei carabinieri, entrambi appartenenti ai servizi.
Mi dissero che sul porto bisognava dare una mano allo Stato per quanto riguardava il passaggio delle armi. Mi si chiese la cortesia di valutare movimenti strani di container che riguardavano situazioni sensibili a livello militare. C’era pure una rappresentanza americana e io dovevo comprendere cosa stesse succedendo. Quando mi riferisco alla rappresentanza Usa, intendo dire due ragazzi che abitavano a Vibo Valentia e che con dei sistemi tecnici, effettuavano dei controlli. Erano appartenenti ai servizi di sicurezza americani e li ho conosciuti personalmente. Ovviamente, con la scusa che ero un doganalista andavo nei piazzali durante queste visite. Ed ero vicino a loro nel secondo gate, dove i contenitori venivano portati per essere sottoposti a visita scanner o fisica e quindi accadeva che vi fosse uno svuotamento totale, parziale o solo una ispezione visiva».
Ed è qui che Virgiglio racconta un episodio avvenuto all’interno dello scalo gioiese: «Ci fu un contenitore che era in trashipment e quindi doveva solo essere scaricato e poi ricaricato su un’altra nave. Il funzionario della Dogana lo bloccò perché volle fare una visita fisica. Fece un primo controllo con lo scanner e notò che vi erano divani. Ma dopo i primi due metri, il container appariva totalmente vuoto. La cosa era piuttosto anomala. Il funzionario disse che la cosa non gli tornava e quando chiese agli operai di svuotarlo, arrivò tutta il corpo della Maersk e riferì che il contenitore avrebbe perso l’imbarco, perché la nave stava mollando gli ormeggi. Io ero in contatto telefonico con Venanzio e gli riferivo tutto quello che stava avvenendo. Dopo il cambio turno, nel pomeriggio, tornai con la mia auto e, con la scusa che il funzionario doveva fare una visita ai miei container, ci accorgemmo che quel contenitore non c’era più, ignorando addirittura un blocco doganale». Il funzionario andò su tutte le furie tanto che Fracchetti fece un esposto in Procura segnalando la cosa. Fin qui Virgiglio sulla sua collaborazione con i servizi. Una cosa che finì nel 2007 alla stazione Termini di Roma, quando coloro che lo avevano contattato gli dissero: «Dobbiamo sganciarci, le cose stanno cambiando».