Tre anni di violenze fisiche e psicologiche di ogni genere. Fino a quando la giovane donna protagonista di questa incredibile vicenda, che chiameremo con un nome di fantasia, Chiara, non denuncia il carnefice.

Chiara non può truccarsi, non può mettere lo smalto sulle unghie, ma soprattutto non può lavorare e neanche affacciarsi al balcone a fumare una sigaretta. La gelosia morbosa del compagno la tiene lontana da tutto fino ad isolarla completamente. È persino geloso dei figli e va in escandescenza se lei scrive nella chat di famiglia. E ogni volta sono botte. Dalla relazione nasce una bambina.

Il tribunale di Bologna, luogo in cui soggiornava precedentemente la coppia, decide che la loro bambina di due anni venga affidata ai nonni paterni, genitori dell’ex compagno violento, che vive nella stessa casa a Vibo Valentia. La beffa è che alla donna, al sicuro a Reggio Calabria, e che per il decreto del tribunale di Bologna, ha gli stessi diritti dell’ex compagno, viene impedito di vedere la bambina ormai da tre mesi.

Potete immaginare la disperazione di una madre sbattuta fuori di casa, spinta dai capelli, mentre la bambina rimane li. Il decreto stesso del tribunale di Bologna chiariva come «tra i genitori sussisteva da tempo una relazione inadeguata e caratterizzata da comportamenti violenti agiti dal padre in danno della madre.

La testimonianza di Chiara

«Non vedo mia figlia da tre mesi perché è stata collocata dai nonni paterni dal tribunale di Bologna perché io avevo una relazione con un uomo che mi maltrattava. Per l’ennesima volta, dopo che il papà della bambina ha usato violenza nei miei confronti non hanno messo in protezione me e la bambina. Hanno mandato via me e lasciato lì mia figlia».

Da quanto è vittima di violenze?

«Da tre anni. La prima denuncia risale al 2017 ma è stata archiviata. Di conseguenza misi in protezione gli altri miei due figli, per paura delle ripercussioni su di loro e su di me. Le altre denunce le ho dovute ritirare perché non era una persona buona. Avevo paura di lui e che potesse fare del male agli altri miei figli e a me».

Ha subito dei maltrattamenti anche quando aspettava la bambina?

«Ho iniziato ad avere complicazioni già al quarto mese perché c’erano volte in cui lui mi lasciava senza cibo, tre o quattro giorni chiusa in casa. Non avevo neanche l’acqua da bere, bevevo l’acqua del rubinetto che non era potabile, ma non avevo scelta per non disidratarmi. Ho avuto le prime contrazioni alla 24esima settimana, perché lui comunque mi picchiava davvero forte, pur sapendo che aspettavo sua figlia. Mi hanno ricoverata, mandata a casa e ricoverata di nuovo alle 26sima per forti contrazioni e i medici non si riuscivano a spiegare perché. Alla 27esima hanno dovuto fare un cesareo, la bambina è nata molto prematura. Dopo due giorni dal parto il papà della bambina mi ha picchiata facendomi riaprire la ferita del cesareo».

Ora la bambina sta a casa dei nonni paterni ed il papà vive con loro, mentre lei non la vede da tre mesi. Com’è potuto accadere una cosa del genere?

«Hanno un appoggio molto forte: il servizio sociale di Vibo, di Mileto. Un’assistente sociale che li sta proteggendo perché è una conoscenza molto stretta della famiglia del papà di mia figlia. Mi stanno ostacolando in tutti i modi per non farmi vedere la bambina. Si sono inventati la storia del covid nonostante dal 4 maggio c’è un dpcm del governo che dice che i congiunti si possono rivedere, dal 18 maggio si possono rivedere gli amici e io sono l’unica mamma che non può vedere la sua bambina, chiediamo spiegazioni ma non ci rispondono. L’assistente sociale mi blocca, i nonni mi bloccano, io non so nulla di mia figlia. Non ho potuto festeggiare i due anni di mia figlia, mi sono persa i primi suoi passi. Non so che parole dice, non so neanche cosa mangia. Non so niente».

C’è anche un altro particolare che lascia perplessi, le videochiamate, unico tipo di contatto tra madre e figlia secondo l’assistente sociale, devono avvenire al numero dell’ex compagno violento.

«L’assistente sociale ci ha comunicato che in questo momento dovevamo fare le videochiamate sul cellulare della persona che ha usato violenza nei miei confronti.Il papà della bambina che nel decreto del tribunale di Bologna ha le mie stesse modalità di contatto con la bambina, ma il problema è che il papà vive nella casa con la bambina e con i nonni. Un giudice che colloca la bambina a casa con i nonni e sa che il papà è residente li e nessuno può fare nulla. L’assistente sociale pretende questa videochiamata dove mia figlia, che ha solo 2 anni, viene tenuta con a forza perchè deve assistere alla videochiamata… è una bambina di due anni non può capire la videochiamata di una mamma. Ha bisogno del contatto di sua madre, non della videochiamata».

Parla il legale della vittima di violenze

A chiarire la situazione, carte alla mano, anche il legale della donna, l’avvocato Massimo Bambara, del foro di Reggio Calabria.

«Questa situazione nasce in seguito alle violenze del padre della bambina nei confronti della madre. Come dimostrano gli atti. C’è un decreto del 16 marzo 2020 in cui si parla di violenze ripetute del padre, nei confronti della madre della bambina, ma anche di evidenti segni sul corpo della signora. Nonostante ciò il tribunale di Bologna rileva che la donna non riusciva a denunciare ciò che avveniva a causa di una sorta di timore del compagno. Mi risulta strano che un tribunale metta all’interno di un decreto dei fatti così gravi e non ci sia un procedimento d’ufficio per delle violenze accertate su una donna.

L’iter è andato avanti fino alla collocazione della bambina presso i nonni paterni, ma il padre vive con loro. Mi sembra una contraddizione in termini. In più la parte più grave riguarda il rapporto con il servizio sociale, il 14 aprile ho chiesto che venisse stabilito un calendario d’incontri, ho ricevuto una telefonata il 27 aprile in cui mi è stata data disponibilità. Ho mandato di nuovo una pec all’assistente sociale il 4 maggio, sollecitando il calendario che non arrivava e chiedendo che potesse avvenire un incontro tra madre e figlia nel più breve tempo possibile.

Ma non ho ricevuto risposta. Il 14 maggio ho risollecitato e telefonicamente ho ottenuto un incontro presso il servizio sociale di Mileto il 19 maggio. A poche ore dall’incontro mi è arrivata una risposta dell’assistente che non ho gradito poiché mi è stato detto che per condizioni della bambina (che, come spiega la madre non ha nessun problema) e l’emergenza covid non si potevano fare gli incontri di persona. Ho trovato questa cosa parossistica: fino alla mattina si potevano fare l’incontro e nel pomeriggio sorge un problema di autorizzazione che non ha base normativa?».