Materiale acquistato e in larga parte pagato anticipatamente – sulla cui destinazione si addensano diverse ombre – per di più con procedure non del tutto regolari al punto da essere segnalate alla Corte dei conti. Nel pieno dell’emergenza sanitaria da Covid-19, nel marzo scorso, all’Asp di Vibo Valentia – guidata dal commissario straordinario Giuseppe Giuliano – non si è badato a spese e si è fatto ricorso ad ogni mezzo per rifornire di dispositivi di protezione gli operatori sul campo. Ben fatto, si dirà, se non fosse che a volte lo si è fatto disattendendo le prassi di legge e operando scelte rivelatesi non del tutto coerenti con gli obiettivi, pur nobili, da perseguire.

La fornitura di mascherine in tessuto

È il caso della fornitura di 5.000 mascherine in tessuto che non si sono rivelate utili allo scopo e che, pertanto, sono state accantonate in un magazzino dell’ospedale di Pizzo e in parte distribuite tra amici e conoscenti a mo’ di gadget fashion. Un acquisto sbagliato e inutile, secondo gli addetti ai lavori, tanto che i responsabili delle farmacie aziendali le hanno da subito ritenute inidonee allo scopo non autorizzandone la distribuzione ai sanitari. A produrle è stata la Luxury cravatte Roma, azienda di moda di proprietà di Tiziano Talarico, figlio dell’imprenditore calabrese “re delle cravatte” Maurizio Talarico, fornitore di capi di Stato e di governo italiani ed esteri, di politici, imprenditori e professionisti di gran vaglia. Per quella fornitura – che qualcuno sussurra in primo momento doveva essere una donazione – ha chiesto all’Asp vibonese poco meno di 6.100 euro, 2.999 dei quali pagati anticipatamente, diffidando poi l’Asp al saldo della fattura attraverso il proprio legale.

Acquisti “non autorizzati”

Solo che quella procedura d’acquisto, come segnalato alla Procura regionale della Corte dei conti della Calabria dall’allora direttore del Dipartimento amministrativo Bruno Calvetta, sarebbe viziata da alcune irregolarità. Vizi non riferibili al fornitore, precisiamo. Mancava, infatti, l’autorizzazione all’acquisto del soggetto delegato alle procedure di spesa e liquidazione dei beni legati all’emergenza Covid, individuato proprio nella figura di Calvetta. Beni ordinati senza atto autorizzativo, dunque, ma con il solo «suggello di un soggetto decisorio».

Alla ricerca delle tute smarrite

Non l’unico caso verificatosi in piena pandemia. Anzi, un secondo episodio ha del clamoroso. È la fornitura di 3.900 tute protettive con cappuccio ed elastico acquistate dalla ditta Tregena Srl di Roma, per un importo di 31.200 euro oltre iva, pagate anticipatamente, rispetto alle quali non si è mai riusciti a ricostruire l’esito finale dell’intero ordinativo. Se, anche in questo caso, la procedura d’acquisto segnalata alla Corte dei conti si presenta inficiata dall’assenza di un atto autorizzativo da parte del soggetto preposto, ad aggravare la situazione è il mancato riscontro sulla distribuzione dell’intera partita. In una comunicazione del 20 aprile scorso dell’ufficio Provveditorato, economato e gestione logistica, guidato da Domenico Dominelli, si dà conto come da una ricognizione effettuata alla farmacia dell’ospedale di Tropea, la stessa «non ha comunicato la presa in carico del materiale di cui trattasi» e si rassicura sul fatto che «sono stati allertati i dipartimenti aziendali e le strutture afferenti perché eventuali documenti di trasporto in loro possesso siano trasmessi ai punti di consegna abilitati per la registrazione a sistema».
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