Una conversazione tanto drammatica quanto profetica è quella che i carabinieri del Nucleo investigativo dei carabinieri di Vibo si trova a dover ascoltare nella primavera del 2016, qualche giorno dopo la scomparsa dell’imprenditrice 44enne Maria Chindamo, sparita nel nulla il 6 maggio, gli investigatori intercettano un dialogo tra un cugino e un uomo non identificato nel quale emerge una frase su tutte: «Non la troveranno mai».
Il parente dell’imprenditrice sta parlando con una persona - che gli investigatori capiscono essere un uomo e che ha accento calabrese - proprio della scomparsa della cugina. Dalla conversazione – spiega l’ex comandante del Nucleo investigativo di Vibo, Alessandro Bui, nel corso del processo sull’omicidio Chindamo – emergono diversi dati: che i parenti avevano la consapevolezza che Maria fosse stata uccisa, che all’origine dell’omicidio vi fossero i terreni di Limbadi, e che vi fossero stati rapporti tra i Punturiero (famiglia dell’ex marito di Maria Chindamo) e la criminalità organizzata.

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«C'entra il terreno»

«Potrebbe esserci interessato il terreno», dice il parente dell’imprenditrice e manifesta l’intenzione di trovare una strada - anche alternativa alle indagini - per scoprire cosa fosse accaduto alla cugina. L’uomo che è con lui, però, lo dissuade: troppo pericoloso.
«Non ti muovere fanno tutto loro – dice riferendosi ai carabinieri – non vorrei che poi ti prendi un colpo di pistola».
Il cugino afferma, infatti, di avere parlato «con il capitano».
Il suo interlocutore gli ricorda che «suo nonno era un uomo di fiducia di Ciccio Mancuso e parente dei Bellocco».
Il nonno in questione, riferisce Bui rispondendo alle domande del pm Annamaria Frustaci, è stato appurato essere Vincenzino Punturiero, classe 1902, il nonno di Ferdinando Punturiero, ex marito di Maria Chindamo, morto suicida l’otto maggio 2015.

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La genealogia dei Punturiero/Puntoriero

L’accusa traccia quella che è la linea genealogica della famiglia Punturiero/Puntoriero. Vincenzino Punturiero, classe 1902, è stato assassinato alla fine degli anni ’50 nella faida tra gli Scriva e i rosarnesi. L’uomo era padre di Gregorio Punturiero e di Vincenzino classe 1929. Una volta trasferitosi a Vibo, Gregorio Punturiero cambia il cognome in Puntoriero. Suo figlio si chiama, infatti, Vincenzo Puntoriero ed è stato imputato nel maxi processo Rinascita Scott e condannato in primo grado a cinque anni di reclusione. Vincenzino Punturiero, classe 1929, invece, racconta il Alessandro Bui, avrebbe battezzato il figlio di un appartenente alla famiglia Mancuso. Ad essersi tenuto lontano dai guai o da impresentabili frequentazioni è stato, invece, Ferdinando, detto Nando, marito di Maria Chindamo.

«Non la troveranno mai»

Tornando alla conversazione tra il cugino di Maria Chindamo e l’uomo non identificato, emerge la preoccupazione del parente per le sorti della donna.
«Il problema è che quelli se la sono portata in macchina», dice il cugino.
La risposta dell’interlocutore è greve e drammatica: «Non la troveranno mai».
Il corpo di Maria Chindamo, infatti, non è stato mai ritrovato. I collaboratori di giustizia raccontano che, dopo essere stata uccisa, l’imprenditrice è stata stata data in pasto ai maiali, infine i suoi resti sono stati trinciati e mescolati col terreno.

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In Corte d’Assise, presidente Massimo Forciniti, si sta celebrando la costola del maxi processo Maestrale sugli omicidi. Imputato per l’omicidio Chindamo è Salvatore Ascone, 58 anni, detto Turi, o U Punnularu, considerato intraneo alla cosca Mancuso in particolare al ramo Mbrogghja – del quale si considerava un «soldato» – e godeva di un certo potere in località Montalto di Limbadi dove riteneva di avere il potere di dare il proprio assenso a qualunque trattativa sui terreni di quella zona. È questa la tesi che la Dda di Catanzaro porta anche davanti alla Corte d’Assise.

Vendetta e avidità

Un omicidio, quello di Maria Chindamo, maturato, dice l’accusa, per vendetta e per avidità. La vendetta l’avrebbe cercata l’ex suocero della vittima, Vincenzo Punturiero (deceduto), per vendicare il suicidio del figlio, Ferdinando Punturiero, avvenuto l’otto maggio 2015, che l’uomo imputava alla separazione dalla Chindamo la quale aveva poi reso pubblica, due giorni prima di morire, una nuova relazione sentimentale.

L’avidità è da ricondursi a coloro che hanno concorso nell’agguato mortale, compreso Ascone, che sarebbe stato aiutato dal figlio, allora minorenne, e da altri ancora ignoti. Il disegno era quello di acquisire i terreni della Chindamo nel proprio interesse e in qualità di referente di Diego Mancuso, 71 anni, detto “Mazzola”, terzo dei sette figli del ramo Mbrogghja.