Per i giudici è stato violato il principio del “ne bis in idem”. Il Riesame non è riuscito a definire a sufficienza il perimetro che separa l’associazione mafiosa da quella segreta. Ma le accuse rimangono intatte e tutto si deciderà al processo "Gotha"
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«In tema di reati associativi, la parziale sovrapposizione di soggetti, tempi, territori e oggetto dell’attività criminale organizzata impone al giudice, per affermare la configurabilità di diversi e autonomi sodalizi, di fornire espressa indicazione delle ragioni che inducono ad escludere l’ipotesi di un unico gruppo criminale che operi in permanenza, con fisiologici adattamenti della propria composizione ed azione al trascorrere del tempo e delle condizioni esterne». Sono queste le motivazioni con cui la Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio l’ordinanza del Tribunale del Riesame con la quale era stato confermato il provvedimento di custodia cautelare in carcere emesso nei confronti di Paolo Romeo, l’avvocato già condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa e ritenuto dalla Dda di Reggio Calabria il personaggio apicale della struttura riservata della ‘ndrangheta, nonché colui che sta a capo di un’associazione segreta con la finalità di favorire proprio l’organizzazione criminale calabrese.
Le ragioni dell’annullamento
Ebbene, scorrendo le pagine con cui la Corte di Cassazione motiva l’annullamento dell’ordinanza dell’inchiesta “Mammasantissima”, si scopre un primo dato molto interessante: i giudici della Suprema Corte non parlano di carenza della gravità indiziaria, né di insussistenza delle esigenze cautelari, ma concentrano la loro attenzione in modo pressoché esclusivo su uno dei principi cardine dell’ordinamento italiano: il “ne bis in idem”. Per i non giuristi e detta in modo un po’ semplificato, trattasi di quel principio che prevede come una persona non possa rispondere per due volte dello stesso fatto. Con una recente sentenza, la Cassazione ha stabilito che «non può essere nuovamente promossa l’azione penale per un fatto e contro una persona per i quali un processo già sia pendente nella stessa sede giudiziaria e su iniziativa del medesimo ufficio del pm». La conseguenza? Il processo eventualmente duplicato va archiviato.
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Il caso Romeo fra “Mammasantissima” e “Fata morgana”
Nel caso in questione, a Romeo viene contestato, nell’inchiesta “Mammasantissima”, di essere promotore, dirigente ed organizzatore della componente apicale “segreta e riservata” della ‘ndrangheta, in relazione all’articolazione territoriale reggina identificabile con la cosca De Stefano, nonché di aver pianificato, con il coindagato Giorgio De Stefano, strategie destinate all’attuazione da parte di altri soggetti riservati – fra cui Alberto Sarra e Antonio Caridi – tese all’infiltrazione di apparati amministrativi, interferendo sull’esercizio delle funzioni di organi di rango costituzionale, mediante l’uso deviato del ruolo pubblico di Sarra e Caridi.
Per quanto concerne il procedimento “Fata morgana”, invece, a Romeo viene contestato di aver preso parte ad un’associazione segreta, occultandone l’esistenza all’interno di associazioni palesi, per porre in essere attività dirette ad interferire sulle funzioni di amministrazioni pubbliche locali, per agevolare la ‘ndrangheta.
Le spiegazioni mancanti
Ecco allora chiarite le due diverse contestazioni a Romeo. Per la Cassazione, però, l’ordinanza del Riesame «sovrappone la dimensione storico-fattuale delle contestazioni enucleate in due distinti procedimenti» senza individuare con precisione «i profili concreti di una eventuale coesistenza dei due sodalizi e senza neanche rispondere appieno ai rilievi difensivi sul punto specificamente formulati». In verità il Tribunale del Riesame di Reggio Calabria aveva portato una motivazione, partendo dall’assunto che vi fosse un “nucleo segreto” formatosi dall’originario organismo mafioso. Fra questi non vi sarebbe stato un concorso apparente di norme (che si ha quando apparentemente, con un’unica condotta, si violano più norme, ma in realtà il reato applicabile è uno solo, in ossequio al principio di specialità), ma un concorso formale di reati (quando con una sola condotta si commettono più reati distinti, tutti perseguibili). E per dare sostanza a tale assunto, il Riesame aveva citato una sentenza della Corte costituzionale sul tema. Tuttavia, come ha chiarito la Cassazione, per l’applicabilità del divieto di “bis in idem” rileva solo il giudizio sul fatto concreto.
Romeo e il “doppio comando”
Ed è qui che si concentra l’attenzione dei giudici romani che sottolineano come il Riesame non sia riuscito a chiarire «in punto di fatto, i passaggi del processo generativo attraverso cui dal sodalizio mafioso di origine – di per sé connotato da evidenti caratteri di segretezza, tanto da contestarsi all’indagato di aver agito stabilmente quale componente apicale “occulto” di una parte riservata della ‘ndrangheta – si sarebbe successivamente formato un nucleo segreto diretto da un unico vertice, rappresentato dallo stesso Romeo». Insomma, l’avvocato è secondo l’accusa tanto il dirigente di un’associazione segreta volta ad agevolare la ‘ndrangheta quanto, al contempo, dirigente della componente occulta della stessa associazione mafiosa. Tuttavia vi sarebbe una contestazione «sostanzialmente sovrapponibile, sul piano temporale, dei due sodalizi, le cui capacità di interferenza risulterebbero comunque operative entrambe, nella città di Reggio Calabria». In altri termini, quindi, la Cassazione non ha ritenuto sufficiente la motivazione con cui i giudici del TdL hanno spiegato questa contemporanea partecipazione di Romeo all’associazione mafiosa ed a quella segreta, posto che le stesse sono identiche «quanto alla sfera operativa e degli interessi, all’identità degli affiliati ed al ruolo di vertice attribuito ad uno di loro». Ne deriva che dalla motivazione del Riesame non emerge l’individuazione di diverse componenti strutturali, utili a poter giustificare questo concorso formale di reati.
La parola al dibattimento
Al di là dei tecnicismi, però, un dato emerge con chiarezza: l’annullamento (tanto dell’ordinanza del Riesame quanto di quella emessa dal gip) non deriva da una mancanza di elementi portati dal procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo o da una insussistenza di esigenze cautelari. Anzi, di ciò nella decisione della Cassazione non v’è traccia, pur trattandosi di un giudicato appunto cautelare. Ciò significa che solo l’istruttoria dibattimentale in corso al Tribunale di Reggio Calabria nel processo "Gotha" potrà chiarire con certezza se le condotte contestate a Romeo siano da ritenersi talmente compenetrate nei loro elementi essenziali da violare il principio del “ne bis in idem”, o se invece, così come sostenuto dalla Dda reggina, vi siano tutti i requisiti richiesti dalla giurisprudenza perché l’avvocato possa rispondere tanto di associazione mafiosa quanto di associazione segreta.
Consolato Minniti
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