Sono oltre 50 gli anni di carcere invocati dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria nell’inchiesta “Malasanitas” che vede alla sbarra diversi medici dei reparti Ginecologia, Ostetricia, Neonatologia e Anestesia degli ospedali Riuniti di Reggio Calabria.

Secondo l’accusa vi sarebbe stato un vero e proprio “sistema” di copertura degli errori medici consumatisi nei reparti dell’ospedale reggino, attraverso la falsificazione delle cartelle cliniche dei pazienti. Gli imputati devono rispondere, a vario titolo, di falso ideologico e materiale, soppressione e occultamento di atti e di interruzione di gravidanza senza il consenso di una donna. Nel corso dell’operazione, eseguita nel 2016, diversi medici furono anche arrestati e posti ai domiciliari, mentre per altri, fra cui un’ostetrica, scattò la sospensione dalla professione medica.

 

La pena più pesante, invocata dai sostituti procuratori Roberto Di Palma e Anna Maria Frustraci è per l’ex primario del Reparto, Pasquale Vadalà, per il quale sono stati chiesti 8 anni di reclusione. Per l’ex facente funzioni, Alessandro Tripodi, l’accusa ha chiesto 6 anni di reclusione. Pene severe sono state chieste anche per i ginecologi Filippo Saccà (4 anni), Daniela Manuzio (7 anni e 6 mesi), Antonella Musella (3 anni e 6 mesi); per la neonatologa Maria Concetta Maio (3 anni e 6 mesi); per gli anestesisti Luigi Grasso (4 anni) e Annibale Musitano (3 anni e 6 mesi). Due le richieste di “non doversi procedere” per prescrizione: si tratta di Roberto Peinnisi e Marcello Tripodi. Una sola richiesta di assoluzione, quella formulata nei riguardi di Mariangela Tomo.

 

I pubblici ministeri, sin dalla scorsa udienza, aveva ripercorso tutte le tappe dell’inchiesta che aveva svelato quello che, per la stampa, fu il cosiddetto “reparto degli orrori”. Particolarmente dure furono alcune intercettazioni raccolte dagli inquirenti che contestarono ad alcuni imputati anche il reato di associazione per delinquere. La pubblica accusa ha ricostruito minuziosamente tutti i singoli capi d’imputazione, con annotazioni tecniche molto dettagliate relative alle perizie effettuate nel corso delle indagini e sviluppate nella lunga istruttoria dibattimentale. Anche per il reato associativo è stata ricostruita l’intera struttura e successivamente formulate le richieste di condanna.  «Il meccanismo esiste – ha ribadito in aula il procuratore Di Palma – c’è una colleganza mal concepita che sfocia spesso in reato». Il pubblico ministero ha parlato di rapporto teleologico fra errore e falsificazione. Per la pubblica accusa «appena scatta l’errore, tutti i componenti dell’associazione sanno cosa devono fare per mettere in sicurezza il reparto. E l’artefazione è stata concepita così bene che i consulenti tecnici non l’hanno riscontrata, perché le carte erano false. Ecco a cosa serviva mettere le cartelle nel cassetto e sbianchettare il nome». Per il procuratore, «i vari soggetti interessati sono legati non solo da rapporti professionali ma anche personali e non c’è dubbio che gli imputati del reato associativo rispondano del reato di essere associati fra loro al fine di coprirsi le spalle, falsificando le cartelle cliniche». Secondo Di Palma, Vadalà ha una doppia responsabilità: come redattore di cartelle cliniche e come responsabile delle cartelle cliniche di tutto il reparto in quanto primario. Dell’associazione rispondono Pasquale Vadalà, Alessandro Tripodi e Daniela Manuzio.

 

I pubblici ministeri hanno poi chiesto l’invio degli atti in Procura per valutare l’opportunità di procedere nei confronti di alcuni testimoni.

Toccherà ora agli avvocati difensori intervenire per fornire una ricostruzione differente dei fatti.

Le richieste

Luigi Grasso 4 anni
Maria Concetta Maio 3 anni e 6 mesi
Daniela Manuzio 7 anni e 6 mesi
Antonella Musella 3 anni e 6 mesi
Annibale Maria Musitano 3 anni e 6 mesi
Roberto Rosario Pennisi prescrizione
Filippo Luigi Saccà 4 anni
Massimo Sorace 4 anni e 6 mesi
Giuseppina Strati 3 anni e 6 mesi
Alessandro Tripodi 6 anni
Pasquale Vadalà 8 anni
Antonia Stilo 3 anni
Marcello Tripodi prescrizione
Mariangela Tomo assoluzione

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