Un delitto che resterà senza un colpevole. E una famiglia che probabilmente non avrà mai più giustizia. Le motivazioni della Cassazione sull’omicidio di Gianluca Congiusta, l’imprenditore ucciso a Siderno nel 2005, mettono la parola fine su un dibattimento durato oltre un decennio. Dunque, la verità processuale è scritta. Per i giudici supremi il boss Tommaso Costa, condannato all’ergastolo fino al secondo grado di giudizio, non ha commeso il fatto. Congiusta, commerciante di telefonia mobile, venne assassinato con un colpo di fucile da caccia sparatogli al volto. Movente dell’omicidio, secondo l’accusa, il tentativo di sventare un’estorsione ai danni del suocero.

La Cassazione ha ritenuto il ricorso dei difensori di Costa fondato, avendo considerato «Carente la doppia sentenza di merito, sul piano della coerenza logica del discorso giustificativo giudiziale, con riferimento alla ritenuta finalizzazione omicidiaria, perché privo del tassello specifico e concreto», ravvisando, nel contempo «Più logica una azione omicidiaria indirizzata verso la persona dell’imprenditore – Antonio Scarfò – che non verso il futuro genero, reo sì di aver fatto partecipe un componente della cosca avversa della lettera estorsiva, ma con il quale aveva stretto di seguito un rapporto di colleganza, senza considerare la distanza di tempo intercorrente tra la consegna della lettera e l’azione omicidiaria».

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