Da una parte le coreografie e le trasferte, dall’altra gli affari legati allo spaccio di droga e alla gestione delle attività economiche connesse alla vita da stadio. Quello tra criminalità organizzata e universo del calcio è un amore scoppiato da tempo, fermentato prima tra le squadrette di paese (comprate e gestite dai clan, al sud come al nord, per acquisire blasone sul territorio) e poi esploso, storia più recente, anche sul palcoscenico del pallone che conta. Juve, Inter, Lazio: l’elenco degli intrecci tra cosche e squadre di calcio è lungo, e l’omicidio di Totò Bellocco (rampollo del clan rosarnese da anni trapiantato nell’hinterland milanese, ammazzato sulla sua Smart con numerose coltellate da uno dei capi storici della curva nerazzurra) è solo l’ultimo tassello di un rosario di infiltrazioni lungo più del campionato a girone unico.

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L’Inter

Sbarcato nella nord di San Siro da poco più di un anno, il rampollo del clan Bellocco morto ieri davanti ad una palestra frequentata dai tifosi nella prima periferia meneghina, aveva scalato in fretta la gerarchia degli ultras. Ad aiutarlo nella sua personale e repentina Opa al cuore del tifo nerazzurro avrebbero contribuito almeno due fattori: l’esecuzione nell’ottobre del 2022, con due colpi di pistola sparati a bruciapelo davanti alla sua abitazione da un commando a volto coperto, dell’ex numero uno della curva dell’Inter Vittorio Baiocchi (omicidio rimasto ancora senza un colpevole) e la fraterna amicizia (almeno così era sbandierata sui social) tra lo stesso Bellocco e un altro pezzo da 90 del mondo del tifo organizzato interista, Marco Ferdico. Sarebbe stato proprio quest’ultimo a introdurre l’esponente del clan Bellocco tra i mammasantissima dei gradoni del Meazza. Ed è grazie a queste due combinazioni che, sospettano gli inquirenti, il nipote del capo bastone “Assu i mazzi” avrebbe allungato le mani sui succulenti affari, leciti e illeciti, che maturano ai confini del dorato mondo del pallone. Rivendita di biglietti, gestione dei parcheggi e dei food truck nei dintorni dello stadio, merchandising, fino allo spaccio di droga: potrebbe essere questi – come parzialmente ammesso dall’omicida in sede di dichiarazioni spontanee dopo il suo arresto – i veri motivi che hanno portato Andrea Beretta, che di Baiocchi, almeno formalmente, aveva preso il posto, ad ammazzare il “fratello” ultras con cui, appena poche ore prima, aveva giocato una partita di calcetto contro gli ultras del Milan.

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La Juve

Del resto, le ombre che si allungano su (parte) della tifoseria più calda dell’Inter, non sono diverse da quelle che hanno colpito il movimento ultras della rivale storica dei nerazzurri, quella della Juventus che per la distrettuale antimafia di Torino, era stata pesantemente infiltrata dalla cosca dei Pesce che, federata a quella dei Bellocco, fa la voce grossa nella Locale di Rosarno. Era stata l’indagine “Alto Piemonte” a stabilire che la cosca dei Pesce si era «di fatto imposta nel tifo organizzato esercitando un vero e proprio controllo dei gruppi che supportano la Juventus». Un’indagine pesante (che sul versante sportivo ha portato anche a pesanti condanne per alcuni dei dirigenti del club) che aveva messo in luce come al centro della scalata dei Pesce al cuore del tifo all’interno dello “Stadium”, più che la passione per i colori bianconeri, ci fossero una serie di affari piuttosto lontani dal rettangolo di gioco e che comprendevano la gestione dei biglietti e i servizi ai margini delle partite. Per quella scalata al mondo del tifo juventino, Rocco Dominello fu condannato a 5 anni di reclusione.

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La Lazio

Il rapporto tossico tra curve e cosche diventa poi ancora più evidente nel caso di Fabrizio Piscitelli, aka Diabolik, giustiziato come un boss con un colpo alla nuca nel 2019 all’interno di un parco pubblico a Roma. Diabolik (il cui vessillo fa ancor bella mostra di se in casa e trasferta tra i supporter biancoazzurri) infatti le gerarchie del tifo organizzate le aveva scalate tutte arrivando ad essere, per anni, il leader indiscusso degli Irriducibili. Una scalata così irruenta che portò lo stesso Piscitelli a tentare, grazie alla sponda del malcapitato “Long John” Chinaglia, anche la scalata ai vertici del club guidato da Lotito. Ma erano altri gli affari che Diabolik tesseva dal cuore del tifo laziale: il merchandising prima di tutto, e poi la gestione dei biglietti e delle aste sulle maglie. Attività redditizie ma che rimanevano sullo sfondo rispetto al vero business: grazie alla collaborazione del clan di Michele “o pazzo” Senese in rappresentanza della camorra trapiantata nella Capitale, infatti Diabolik era riuscito a diventare uno dei pezzi grossi nel traffico di sostanze stupefacenti. A partire, ovviamente, dalla curva nord della Lazio.