È accusata di essere una scafista da tre uomini, scomparsi dopo l’identificazione, che avrebbero tentato di violentarla. Marjan Jamali è una giovane donna iraniana in fuga dal suo Paese insieme al figlio di otto anni. Per affrontare il viaggio della speranza spese 14 mila euro prima di salire a bordo di una barca a vela insieme ad un centinaio di migranti, soccorsi a Roccella Jonica lo scorso ottobre.

Da sei mesi si trova reclusa nel carcere di Reggio in attesa di comparire il prossimo 17 giugno davanti al tribunale di Locri per l’inizio del processo e della pronuncia del tribunale della libertà sulla richiesta di arresti domiciliari presentata dall’avvocato Giancarlo Liberati. «Una storia giudiziaria imbarazzante – ha dichiarato il penalista - Dove deve andare una donna senza soldi con un bambino, affidato ad una famiglia di Camini, e un braccialetto in un paese di 500 abitanti? Solo i giudici di Locri continuano a dire che è una scafista». Secondo la donna e il suo avvocato, queste accuse sono false. «Deve essere mandata ai domiciliari – ha proseguito il legale – abbiamo le prove che non sia una scafista».

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Alla sbarra a Locri anche un 31enne, Babai Amir, difeso dall’avvocato Carlo Bolognino. L’uomo ha raccontato di aver tentato di difendere la donna dagli abusi, e per questo avrebbe subito la ritorsione dei tre che una volta sbarcati, poi facendo perdere le proprie tracce, hanno puntato il dito contro i due, accusandoli di essere gli scafisti.

In un’analoga situazione si trova anche Maysoon Majidi, attivista curda contro il regime iraniano, detenuta nel carcere di Castrovillari, a cui proprio ieri sono stati negati i domiciliari. «Per lei si è mossa anche Amnesty International. In cella è dimagrita 14 chili – ha spiegato l’avvocato Liberati all’Ansa - La ragazza non ha nessun interesse a scappare perché sarebbe come confermare la sua colpevolezza. Lei vuole rimanere in Italia, vuole essere assolta in un processo equo con le prove a suo favore e non fuggire».