Nella gelida e maleodorante aula bunker di Castrovillari, dove attualmente si celebra il processo Reset, è andata "in onda" la replica dell'imputato Carmine Caputo nei confronti del cugino-pentito, Francesco Greco. Il collaboratore aveva catalizzato infatti l'attenzione delle parti nella precedente seduta processuale, rivelando le presunte attività illecite di Roberto Porcaro e company. Tra queste, le sospette condotte del parente-imputato in favore dell'ex "reggente" del clan degli italiani di Cosenza.

«Mai abbandonato Greco»

«Dall'esperienza che ho avuto con mio cugino Greco, posso dire che ha avuto problemi seri di tossicodipendenza, cosa risaputa a Cosenza. Faceva uso di cocaina e si era indebitato con molte persone. Per un periodo si era allontanato dalla città, e quando è tornato, volendogli bene, gli ho chiesto di fare da padrino a mio figlio. Nonostante i suoi problemi, sono stato l’unico a non abbandonarlo mai», ha dichiarato Caputo.

«Gli dissi: "Non commettere reati"»

«Gli avevo proposto di andare in una comunità di recupero, visto che neanche il naso gli funzionava più per quanto fosse ridotto male. Era una persona inaffidabile, ma l’ho sempre aiutato. Quando ha iniziato a commettere reati, gli ho detto chiaramente che stava sbagliando: "Non abbiamo fatto certe cose neanche quando eravamo in difficoltà, e ora che lavori ti comporti così?"», ha detto l'imputato.

«Mi scriveva lettere in carcere»

«Riguardo a un presunto pestaggio subito, mi ricordo che è successo quando una volta è andato a casa di Roberto lasciandomi lì. Da quel momento mi sono allontanato da lui, concentrandomi sul mio lavoro. Dal 2018 in poi, non ho voluto avere più nulla a che fare con lui. Quando siamo stati arrestati, lui mi scriveva lettere raccontandomi dei suoi problemi economici. Io, però, non faccio parte di alcuna associazione: ho sempre lavorato onestamente e non c'entro niente con le accuse che mi sono state rivolte. Francesco Greco mi ha coinvolto in vicende con cui non ho nulla a che fare. Chiedo un confronto diretto con lui, perché tutto ciò che ha detto su di me sono bugie», ha concluso Carmine Caputo, imputato nel processo Reset.

Processo Reset, le richieste difensive

Al termine delle dichiarazioni spontanee, l'avvocato Fiorella Bozzarello si è rivolta al presidente Carmen Ciarcia chiedendo di poter controesaminare i soggetti menzionati da Francesco Greco in riferimento alla posizione di Carmine Caputo. Sempre la penalista, che la scorsa udienza era a Roma in Cassazione per il ricorso cautelare di Pasquale Germano, ha invocato l'escussione del testimone di giustizia Antonio Tenuta (e di un altro soggetto) che, come anticipato dal nostro network, non è più sotto protezione.

L'avvocato Laura Gaetano, come illustrato anche dalla collega Bozzarello, ha evidenziato che i difensori non sono in possesso delle trascrizioni del 12 e del 14 novembre e ciò rallenta il lavoro delle difese, se è vero com'è vero, che «questo procedimento ha la precedenza sugli altri, almeno ci venga data la possibilità di svolgere nel migliore dei modi il nostro lavoro».

Non meno importante il caso delle mancate trascrizioni delle intercettazioni, come ha sollevato l'avvocato Amelia Ferrari. Si attendono da mesi e non si conoscono ancora i risultati dei periti. In questo caso, il presidente Ciarcia ha sollecitato la procura antimafia ad attivarsi per avere delucidazioni.

Processo Reset, l'esame della Dda di Catanzaro

Il pm antimafia Vito Valerio, conclusa la prima parte dell'udienza, ha esaminato un ufficiale di polizia giudiziaria che ha partecipato alle indagini per conto della Guardia di Finanza di Cosenza. Nel caso in esame, il teste ha riferito sui riscontri rispetto alle dichiarazioni rese dai pentiti Luciano Impieri, Silvio Gioia e Nicola Femia.
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