Il cognome preferito del Tamunga, all’epoca il secondo latitante più ricercato d’Italia dopo Matteo Messina Denaro, era Rossi. Ce ne sono ben tre nelle cinque identità che hanno coperto la fuga di Rocco Morabito in Sudamerica: Antonio Francisco Rossi Piovani, Roberto Rossi Della Volpe e Roberto Rossi Della Valti, tutti nati nel 1967. Morabito, broker della ’ndrangheta partito da Africo e diventato il re del narcotraffico, si nascondeva da tempo alle autorità.

Le ricerche erano diventate ancora più serrate dal 23 giugno 2019, quando era fuggito dai tetti del Carcel Central di Montevideo: un’azione da film. Da quel momento fino alla cattura si era mosso nelle (tante) terre di mezzo tra Uruguay e Brasile, protetto da una rete vasta e anche dai suoi passaporti falsi. Oltre ai tre Rossi, Morabito era Marcelo Dario Santi Gutierrez (nato nel 1974) e Carril Bianchi Fernando (nato nel 1970).

Questi documenti contraffatti brasiliani e uruguaiani entrano nella storia il 24 maggio 2021, quando il Tamunga viene trovato nell’Eco Summer Tambau, un albergo di Joao Pessoa, nello stato di Paraiba. Assieme a lui ci sono Vincenzo Pasquino e un cittadino brasiliano.

Pasquino è, all’epoca, inserito nell’elenco dei latitanti più pericolosi ma è in qualche modo considerato una figura di contorno rispetto a Morabito. In realtà muove tonnellate di cocaina sulla rotta atlantica e ha rapporti con le organizzazioni più importanti nel narcotraffico. È partito dal nulla e ha fatto molta strada anche se è ricercato da “soli” due anni, un’inezia rispetto ai 27 del Tamunga. Pasquino ha un solo documento d’identità contraffatto paraguaiano: Nabil Kammouni, cittadino libanese nato nel 1982.

Negli atti dell’inchiesta Samba, che ha documentato gli affari dei narcos tra Brasile e Italia dopo gli arresti dei capi Nicola e Patrick Assisi, appare l’elenco dei beni sequestrati nella stanza dell’hotel che ospitava le due primule rosse. Oltre ai documenti fondamentali per nascondere le proprie identità carabinieri, Polìcia Federal brasiliana, Fbi e Dea trovano 5.550 real brasiliani (al cambio odierno poco meno di 900 euro), 86 dollari, e addirittura 10 smartphone: un cellulare marca Multilaser, cinque iPhone, quattro Samsung e un Google.

E poi tre tessere magnetiche Acesso Mastercard; due chiavette Usb; un iPad; una carta di credito Sudameris Visa; diversi documenti scritti a mano con indicazioni apparentemente telefoniche o di password; tre ricevute di deposito nello stabilimento Conrad Resort & Casino Punta del Este intestato a Roberto Rossi; una rubrica telefonica con più voci di nominativi e numeri telefonici; due chip Sim Card per smartphone; un biglietto da visita di The First National Banch Group di Montevideo.

C’è tutto l’armamentario del latitante che deve viaggiare leggero, avere denaro a disposizione per le proprie esigenze e tenersi in contatto con la propria rete di protezione.

Quella doppia cattura è l’inizio di una nuova fase nella storia della lotta al narcotraffico globale. Perché costringe quella che è una holding intercontinentale a cercare nuove figure di riferimento, a ripartire da zero con alcuni dei canali di distribuzione. Ciò che è evidente fin da subito per gli inquirenti è che la cattura di Rocco Morabito e il contesto in cui è maturata, così come quello che ha connotato la cattura di Nicola e Patrick Assisi (altri due broker storici) raccontano bene la potenza del gruppo di narcotrafficanti e le sue connessioni con il gotha della ’ndrangheta.

È per questo che gli investigatori considerano la cattura di Morabito e Pasquino come la pietra angolare delle accuse mosse alla holding di narcotrafficanti. L’inizio di una nuova fase nella lotta ai giganteschi movimenti di droga attraverso l’Atlantico. Un input a cui il pentimento dello stesso Pasquino ha dato una nuova dimensione.