VIDEO | Grazie a entrature politiche, istituzionali e massoniche la famiglia di Gioia Tauro è diventata un gigante del crimine organizzato. Una scalata iniziata a metà degli anni '70 quando con il pacchetto Colombo arrivano in Calabria 1.300 miliardi di lire per il quinto centro siderurgico. Un progetto rimasto solo sulla carta, ma che si rivelò un grande affare per le cosche (ASCOLTA L'AUDIO)
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Forse la più potente famiglia di ‘ndrangheta d’ogni tempo. Alleata, a sua volta, con le più potenti famiglie calabresi, dai De Stefano di Reggio Calabria ai Mancuso di Limbadi. Con entrature politiche, istituzionali, massoniche, il clan Piromalli, in sodalizio con i Molé, però solo nel 1997, all’epilogo del maxiprocesso Tirreno, viene riconosciuto quale associazione mafiosa. Ma esiste, di fatto, da lustri: almeno a partire dagli anni ’70, quando tutte le cosche dell’intera Piana di Gioia Tauro sono piegate al loro volere, così come emerge tra le pieghe di un altro storico processo - De Stefano Paolo + 59 – definito dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria il 23 luglio del 1979.
Il casato hai i suoi capostipiti nei fratelli Girolamo Piromalli, classe 1918 e, appunto, Giuseppe Piromalli classe 1921. Girolamo muore nel 1979. Giuseppe, invece vivrà a lungo e vedrà il nuovo millennio. Sotto la sua ala crescono i nipoti, ovvero i fratelli Gioacchino, classe 1934, Antonio, classe 1939, e Giuseppe, classe 1945. Ma saranno stati i suoi pronipoti, quindi i figli di Gioacchino, Antonio e Giuseppe, ovvero Antonino detto Ninello, classe 1965, Gioacchino l’avvocato classe 1965, e Antonio classe 1972, a traghettare la famiglia nel nuovo millennio.
La storia della famiglia Piromalli è stata raccontata nell'ottava puntata di Mammasantissima - Processo alla 'ndrangheta, andata in onda il 7 marzo su LaC Tv.
La svolta storica, che renderà i Piromalli un gigante del crimine organizzato, si registra a metà degli anni ’70, quando il governo presieduto da Emilio Colombo, in risposta ai moti di Reggio Calabria, vara un pacchetto di misure per la Calabria che include 1.300 miliardi di vecchie lire per la creazione del Quinto centro siderurgico. È Giulio Andreotti, neo presidente del Consiglio, a posare la prima pietra il 25 aprile del 1975. E la ‘ndrangheta divora tutto: cantieri, lavori, forniture, maestranze. Il quinto centro siderurgico è un affare solo per la ‘ndrangheta mentre resta solo un sogno per la Calabria. Il porto, invece, quello sì, si farà. Diverrà uno scalo fondamentale per il transhipment, ma anche per il narcotraffico mondiale.
Anche sul porto i Piromalli divorano la torta, ma alle altre famiglie non lasciano le briciole. Loro prendono appalti e subappalti e cedono logistica e trasporti agli altri clan della Piana. Lasciano, soprattutto, le forniture di sabbia e inerti ai Mancuso di Limbadi, che partendo da una cava costruiranno una holding del crimine mondiale.
Dai Piromalli passano chiunque. Secondo i collaboratori di giustizia, anche Silvio Berlusconi quando l’impero Fininvest mette radici in Calabria. I Piromalli stringono rapporti anche con le altre mafie e ne divengono punto di riferimento. Don Peppino sarà sorpreso, assieme a Paolo De Stefano, Pasquale Condello il Supremo e Saverio Mammoliti al ristorante il Fungo, a Roma, con gli emissari della Banda della Magliana. Intrecceranno rapporti inconfessabili con settori dello Stato e della P2.
A fine secolo, ceduto lo scettro del comando ai nipoti e, in particolare, a Pino Piromalli classe ’45, e venuto meno il sodalizio con i Molé, il clan sarà fiaccato, ma non annientato dalle offensive giudiziarie e dal pentitismo.