Le dichiarazione dell'ex manager Aiello diventato collaboratore di giustizia: «Mi hanno ordinato di mantenere le cose come prima. Se i conti non tornavano facevo finta di niente»
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Decidevano tutto gli Araniti: l’impianto Rsu di Sambatello (uno dei tre cardini, assieme a Siderno e Gioia Tauro, su cui si poggia il sistema rifiuti dell’intera provincia) era cosa loro. Era il “Duca”, attraverso una società di comodo dell’imprenditore Fortunato Bilardi, a decidere chi dovesse lavorare all’interno della struttura e chi no, ed era sempre Domenico Araniti, assieme agli esponenti della cosca “satellite” di base a Calanna, a preoccuparsi di come andassero gestiti gli affari. Ed era sempre il vecchio boss di Sambatello – dice l’ordinanza dell'inchiesta Ducale che ha portato 14 persone agli arresti nella mattina di martedì – a preoccuparsi di fare rispettare la sua legge. Anche nei confronti di vecchi adepti ormai tagliati fuori dai giochi che contano, che non avevano voluto rispettare i nuovi equilibri delineati dal capobastone.
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«Le risultanze investigative relative all’impianto di Sambatello – scrive il gip – danno conto di chiare e precise dinamiche di gestione mafiosa del territorio, mettendo in evidenza il controllo di attività economiche, precise regole di riparazione del territorio, scontri tra gruppi per il controllo ‘ndranghetistico e dei relativi interessi ed in infine dell’agire occulto dietro importanti realtà imprenditoriali, che finiscono inevitabilmente per ricevere ed avvalersi d protezione mafiosa».
È il collaboratore di giustizia Salvatore Aiello ad aiutare gli inquirenti a capire come funzionavano le cose all’interno dell’impianto di Sambatello. Manager del comparto rifiuti in provincia dall’inizio del secolo, Aiello era stato assunto come “capo impianto” alla fine del ’99 dalla Engitec Technologies, passando poi attraverso le altre società (la Termomeccanica” e “Veolia servizi ambientali”) che si sono succedute nel tempo nella gestione della struttura. E come andassero gestiti gli affari nel feudo del “Duca”, erano stati gli stessi esponenti apicali del clan a spiegarglielo: «Fui avvicinato per strada da due persone… - racconta Aiello ai magistrati reggini – mi hanno fermato per strada a Sambatello, si sono presentati uno Greco e uno Araniti e mi dissero… mi hanno spiegato che là c’era un accordo con la Engitec… di una sorta di pagamento mensile… di una quota di mazzette, perché di mazzette si trattava… mi hanno detto… cerca di mantenere l’accordo, tu basta che si mantengono le cose di prima».
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Un avvertimento in piena regola che, tra le righe, impone all’ex manager diventato collaboratore di giustizia di mantenere al suo posto l’azienda di Bilardi, che dentro l’impianto faceva il bello e il cattivo tempo: «mantenere il costruttore dentro, quindi la per esempio il costruttore allora era Bilardi… ed è rimasto lui… e quando vedevo dei numeri che non mi corrispondevano degli importi facevo finta di nulla. Praticamente continuai quello che facevano prima».