Momenti terribili. La scomparsa prima, l’attesa. Il timore che prende il sopravvento sulla speranza. Il corpo che non si trova.
Questa è l’agonia dei casi di lupara bianca. Questo è quello che hanno passato anche i familiari di Maria Chindamo, una donna colta, bella e indipendente di 44 anni che viveva a Laureana di Borrello, un piccolo centro al confine tra le province di Reggio Calabria e Vibo Valentia. Il 6 maggio del 2016 esce di casa alle sette del mattino per raggiungere la sua azienda agricola in località Montaltoli nella vicina Limbadi e da quel momento in poi diventa un fantasma.

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La paura che si insinua

I familiari di Maria Chindamo, intervistati per la terza puntata di Mammasantissima, andata in onda il 23 aprile e condotta da Pietro Comito, raccontano come hanno vissuto quella tragica giornata.
La figlia, Federica Puntoriero, ricorda di non essere andata a scuola. Riceve una telefonata intorno alle 7:20 dalla nonna che con tono preoccupato chiede dove sia Maria. Ma la ragazza non sa nulla, ricorda di averla salutata al mattino preso e di non sapere altro. Non sa che quella sarebbe stata l’ultima volta che vedeva sua madre che quel bacio che le aveva mandato al volo dalla porta sarebbe stato l’ultimo. Le chiamate si susseguono

Il fratello Vincenzo racconta che era in casa e si stava preparando per andare al lavoro quando riceve la telefonata di uno operaio che abitava in una delle terre di Maria Chindamo e che aspettava l’imprenditrice per fare un lavoro quella mattina. L’operaio non è sereno, dice che la macchina dell’imprenditrice è ferma, è accesa ma è macchiata di sangue. Intorno non c’è nessuno.
Vincenzo Chindamo si precipita. La scena che trova, dice, «è tremenda: la macchina di Maria ancora accesa, con l’autoradio che suonava, la borsa di Maria sul sedile passeggeri, sangue, ciocche di capelli. E di Maria nemmeno una traccia».

Il fratello: «Era successo qualcosa di fuori dal mio immaginabile»

«L’aria è pesante – dice l’avvocato della famiglia Chindamo, Nicodemo Gentile – perché si capisce subito che probabilmente è successo qualcosa di sinistro, qualcosa che nessuno immaginava. Vincenzo chiama i carabinieri. Arrivano i primi operatori, iniziano a cercare a guardare a capire…».

Vincenzo Chindamo non nasconde alla nipote quello che ha visto. Va da lei a casa. Sono attimi di grande concitazione, quelli in cui non ti senti più le gambe. «Cercavano non si sa che cosa – racconta Federica Puntoriero – e io mi sono messa a cercare con loro, non si sa che cosa».
Nel corso dei primi momenti restano sospese, come un terribile presagio, quelle tracce di sangue sulla macchina. Ma il corpo di Maria Chindamo non c’è, lei non c’è. Coglie nel segno l’avvocato Gentile quando usa l’espressione «è ancora tutto magmatico». La paura è impastata con la speranza, i cattivi pensieri con quelli rincuoranti. L’attesa smorza il respiro. Pesano persino i minuti.
«L’inquietudine, la rabbia, la paura, in quel momento mi suggerirono che poteva essere successo qualche cosa – racconta Vincenzo Chindamo – di davvero grande, lontano dal mio immaginabile».

La figlia: «Pensavo si sarebbe risolto tutto entro sera. Ma non si è risolto»

«Non sapevo quello che dovevo fare – dice la figlia – ho iniziato allora, ancora di più a cercare qualcosa dentro casa che non sapevo cos’era. Non immaginavo, pensavo si sarebbe risolto tutto entro sera. Ma non si è risolto».
Maria Chindamo è stata inghiottita dalla lupara bianca in un territorio in cui nulla accade senza che la ‘ndrangheta lo sappia o acconsenta.
Ma nulla accade per caso in questi territori e il giorno della scomparsa di Maria Chindamo ricorre anche l’anniversario del suicidio di Nando, il marito di Maria. Per gli inquirenti non una semplice coincidenza.

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Il processo

Oggi c’è un processo in corso e delle accuse pesanti che pendono sul capo di Salvatore Ascone, 58 anni, il quale avrebbe compiuto il delitto dell’imprenditrice in concorso con persone ancora ignote e con l’ex suocero della Chindamo, Vincenzo Puntoriero (poi deceduto) il quale avrebbe commissionato il delitto perché imputava il suicidio del figlio alla separazione che questi aveva avuto da Maria Chindamo. Ascone avrebbe partecipato avendo interesse, in proprio e in qualità di referente di Diego Mancuso, ad acquisire i terreni dell’imprenditrice.