Nove condanne e sette assoluzioni. Questa in estrema sintesi la sentenza emessa, nella giornata di oggi, da parte della Corte d’appello di Reggio Calabria nei confronti degli imputati coinvolti nell’inchiesta denominata Recherche. Un’operazione, coordinata dalla Dda di Reggio Calabria e condotta dalla Squadra Mobile della città dello stretto, nata dalla cattura del boss di Rosarno Marcello Pesce. Il reggente del potente casato di ‘ndrangheta rosarnese è stato arrestato in un appartamento del centro storico cittadino l’1 dicembre 2016 dopo 8 anni di latitanza. Dalle indagini indirizzate alla sua cattura, gli investigatori erano riusciti non solo a individuare la "cintura di sicurezza" che gli aveva permesso di rimanere nascosto per otto anni, ma anche i traffici illeciti che il reggente del potente casato di 'ndrangheta di Rosarno coordinava attraverso i suoi più stretti collaboratori.

La sentenza

La Corte, presieduta dal giudice Giancarlo Bianchi, ha condannato Marcello Pesce a 14 anni di reclusione, Rocco Pesce 10 anni e quattro mesi, Angelo Tiziano Porretta 1 anno e quattro mesi, Michelangelo Raso 3 anni e quattro mesi, Filippo Scordino 10 anni e otto mesi, Bruno Stilo 7 anni e quattro mesi, Michelino Mangiaruga 2 anni e otto mesi, Carmelo Garruzzo 8 anni e Roccaldo Messina 2 anni.

I giudici reggini, invece, hanno assolto Rosario Armeli (avvocato Francesco Collia), Vincenzo Cannatà, (avvocati Armando Veneto e Marina Mandaglio), Antonino Pesce classe ’82 (avvocati Carmelo Naso e Valerio Vianello), Antonino Pesce classe ’92 (avvocati Guido Contestabile e Michele Novella), Savino Pesce Mario Santambrogio e Carmelina Perone), Biagio Porretta (avvocati Novella e Collia), Rocco Rachele (avvocato Novella).

L’operazione

Il provvedimento di fermo era stato emesso dalla Distrettuale antimafia di Reggio Calabria il 4 aprile 2017 e aveva colpito 25 persone, ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione mafiosa, illecita concorrenza con minaccia o violenza, intestazione fittizia di beni, favoreggiamento personale nei confronti del boss latitante Marcello Pesce, aggravati dalla circostanza di aver agevolato un’organizzazione criminale aderente alla ‘ndrangheta, nonché di traffico e cessione di sostanze stupefacenti.

Gli affari dalla latitanza

La ricerca del pericoloso latitante e le attività criminali da lui coordinate avevano previsto molteplici intercettazioni telefoniche, ambientali, telematiche e di videosorveglianza avrebbe consentito agli inquirenti di far luce sulle condotte criminali del gruppo che faceva capo a Marcello Pesce e, più in generale, all’intera cosca rosarnese, con particolare riferimento al monopolio illecito del settore del trasporto merci su gomma di prodotti ortofrutticoli, alle intestazioni fittizie di beni e al traffico degli stupefacenti.

L’attivismo della cosca non si sarebbe limitato al settore degli stupefacenti o all’intestazione fittizia in funzione della protezione dei beni della cosca, ma si sarebbe allargato soprattutto alle attività di illecita mediazione nel settore dei trasporti merce per conto terzi, storicamente di competenza dell’articolazione della cosca Pesce che, fino al suo arresto, avrebbe visto in Marcello Pesce il punto di riferimento.