«Sono psicologicamente distrutto perché non so cosa fare, l’unica cosa che voglio è che mia moglie e mio figlio tornino a casa da me il prima possibile». La voce tremante, quel groppo in gola che non lo abbandona da quando le truppe russe, 27 giorni fa, hanno varcato il confine con l’Ucraina.

Domenico Mazza, 35enne di Pizzo, da quasi un mese vive in un incubo: sua moglie Yulia e il suo bambino Ivan nato nel 2019 a Soverato sono bloccati a Kherson, nella parte meridionale dell’Ucraina. E la sua inquietudine aumenta di giorno in giorno, davanti all’impossibilità di poter fare qualcosa per poterli riportare a casa.

«L’abitazione di famiglia di mia moglie è in centro città – dice Domenico Mazza a lacnews24 - i militari russi ieri hanno sparato sulla folla per mantenere l’ordine e quei colpi di arma li ho sentiti indistintamente durante la chiamata».

Domenico, che in questo momento si trova a Bologna, lavora come primo ufficiale di macchina sulle navi da crociera: «Il mio lavoro mi porta a vivere diversi mesi fuori casa – spiega – per 3 mesi sono imbarcato e poi riposo per altri 3 mesi. Durante l’ultimo contratto avevamo deciso che mia moglie andasse a trovare la madre in Ucraina per passare i Natale insieme. Mio figlio, inoltre, a causa della pandemia non aveva conosciuto la nonna».

Yulia e Ivan sarebbero dovuti tornare a febbraio, ma una serie di circostanze hanno fatto ritardare il rientro in Calabria, intrappolando madre e figlio in Ucraina durante il conflitto: «Io sono rientrato a metà febbraio da Cipro – racconta Domenico – ma Yulia ha avuto un incidente in auto nel quale si è rotta una costola. È stato necessario il ricovero in ospedale. Durante la degenza ha contratto il Covid e questo ha ritardato ulteriormente il loro rientro».

L’angoscia per il dramma vissuti da sua moglie e il suo bambino è alimentata anche dall’impotenza: «Io ho le mani legate – si dispera il 35enne calabrese - posso solo fare appelli perché voglio portarli a casa. Per fortuna a Kherson non ci sono bombardamenti. La città è occupata dai russi e per questo motivo nessuno può entrare e uscire, nessuno può scappare. Solo il mio collega Giovanni Bruno è riuscito a fuggire». Bruno è uno dei 33 italiani che erano rimasti intrappolati tra Kherson e Maiupol nelle scorse settimane.

«Siamo in contatto con la Farnesina – aggiunge Domenico – Abbiamo un gruppo Whatsapp nel quale ci sono i familiari degli italiani isolati a Kherson. Il ministero degli Esteri sta cercando di farli uscire in sicurezza, ma fino ad oggi non è stato possibile».

«Sono psicologicamente distrutto perché non so cosa fare – ripete Mazza - sono pronto a partire. Se riuscissero ad arrivare ad Odessa sarebbe un grosso passo in avanti perché lì ho dei colleghi disposti a ospitarli. E da Odessa potrebbero raggiungere il confine. Il problema è uscire dalla città. Kherson si trova in una specie di stallo politico, perché vorrebbero creare un’altra repubblica separatista, ma gli abitanti della città non cedono».

Yulia, racconta Domenico Mazza, ha paura ed è molto stressata: «Mia moglie è molto stanca. Si immagini, sono due donne da sole con un bambino. Io preferirei essere là e affrontare il conflitto che stare qui senza poter fare nulla. Per fortuna la connessione a internet è mancata solo per due giorni perché senza avere notizie si rischia di impazzire».

Il 35enne racconta anche delle difficoltà della vita quotidiana in città: «Anche fare la spesa è un problema, i supermercati sono vuoti. La guerra non è solo bombe e occupazione militare, ma anche fare due ore di fila e non riuscire a comprare niente. Stessa cosa anche ai bancomat dove si possono ritirare solo 30 euro».

La situazione è molto complicata e le notizie posso cambiare nel giro di poche ore. «Ieri sera – conclude Domenico – nella chat la Farnesina aveva paventato la possibilità dello sblocco della situazione per stamattina, ma il convoglio con il quale sarebbero dovuti uscire dalla città oggi è stato bloccato a causa dei bombardamenti nelle zone vicine a Kherson. Mia moglie è pronta a partire e a lasciare tutto e io ad andarla a prendere al confine. È un’attesa angosciante».