È ancora buio, il mare è in tempesta e continua a riversare cadaveri sulla spiaggia. Il resoconto dei carabinieri dà i brividi. Nei verbali anche il racconto dei sopravvissuti: «Bambini e donne piangevano e chiedevano aiuto» (ASCOLTA L'AUDIO)
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Quando i carabinieri del nucleo operativo di Crotone arrivano sulla spiaggia di Cutro sono le 4.30 del mattino di domenica. Sono in due. «Arrivati nel tratto di spiaggia di località Steccato – annotano i militari che, per primi, si getteranno in mare per recuperare i vivi e i morti del disastro – notavamo le sagome di alcuni individui che, sbracciandosi, ci richiedevano assistenza. Notavamo che le persone si presentavano bagnate e riportanti alcune ferite e richiedevano sommariamente un nostro aiuto».
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È buio, il mare è in tempesta e continua a riversare cadaveri sulla spiaggia. Il resoconto dei carabinieri dà i brividi. «Notavamo la presenza di un corpo sulla battigia che constatavamo essere privo di conoscenza presumibilmente già deceduto, dopo altri venti metri, notavamo la presenza dei resti di un’imbarcazione in balia delle onde. Ci siamo avvicinati all’imbarcazione immergendoci in acqua, notando la presenza di due corpi privi di conoscenza. Abbiamo estratto i corpi delle persone dall’acqua riscontrando che uno di essi (una donna) era già deceduta, mentre l’altro (un uomo) era annaspante e in evidente sofferenza respiratoria». Quel cadavere sarà il primo di una lista lunga e destinata a rimanere senza certezze nei numeri.
In attesa dei rinforzi e aiutati dai alcuni pescatori, i due carabinieri continuano la loro ricerca. I cadaveri dei migranti arrivano poco alla volta. La mareggiata spinge a terra anche un bambino: il massaggio cardiaco praticati dai due militari si rivelerà purtroppo inutile. Nel giro di pochi minuti i corpi recuperati diventano 15, mentre sulla spiaggia trovano riparo una cinquantina di sopravvissuti «in evidente stato di agitazione ed esasperazione, alcuni dei quali in lacrime che proferivano frasi in una lingua non comprensibile».
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Il sole non è ancora sorto quando da Crotone e dal resto della provincia iniziano ad arrivare le squadre di soccorso e di recupero dei vigili del fuoco, della polizia, della finanza e della capitaneria. Ma ormai la tragedia si era già completata.
Una tragedia che era iniziata quattro giorni prima nella provincia di Smirne, in Turchia, quando un numero imprecisato di persone (forse 200) era stato caricato su un veliero presumibilmente rubato come mille altri prima in Croazia o in Monte Negro. Un copione già visto ma modificato poche ore dopo la partenza verso le coste calabresi. Sono gli stessi migranti a raccontarlo agli uomini della polizia che hanno fermato tre dei cinque presunti scafisti che hanno pilotato il caicco attraverso il Mediterraneo. Il veliero infatti ha un problema al motore quasi subito e il “carico” viene trasferito, direttamente in mare, su un’altra imbarcazione, un caicco fracido che si frantumerà sulle coste calabresi pochi giorni dopo. «è arrivata una seconda imbarcazione – racconta agli agenti Yousuf Shahab, tra i superstiti che hanno aiutato gli investigatori a riconoscere gli scafisti – con a bordo tre persone. L’imbarcazione era di dimensioni più grandi della prima, del tipo caicco, ed era in pessime condizioni. Tante volte ho avuto paura che l’imbarcazione potesse affondare a causa del mare mosso e delle precarie condizioni della barca».
Una tragedia annunciata e che sarebbe stata favorita dal comportamento irresponsabile degli scafisti che, per paura dei controlli, hanno ritardato l’approdo cambiando rotta alla vista di alcuni pescatori che, dalla riva, provavano a fare luce. «Gli scafisti ci avevano detto che ci avrebbero fatto sbarcare la notte di domenica 26 perché, essendo domenica, ci sarebbero stati meno controlli anche a causa delle avverse condizioni del mare – racconta ancora Shahab – ieri sera, 25 febbraio, un membro dell’equipaggio ci comunicava che la rotta sarebbe stata cambiata perché potevano esserci dei controlli».
Una decisione sconsiderata vista l’irruenza del mare e la precarietà dell’imbarcazione. Una decisione che comporterà una strage quando la riva era quasi a portata di mano: «La navigazione è ripresa sino alle 4 di questa notte, in cui il mare si era fatto ancora più mosso, si sono iniziate a vedere delle luci sulla costa e a quella vista tanti hanno gridato “help, help”. Purtroppo non rispondeva nessuno e pochi minuti dopo è arrivata una forte onda e c’è stato un forte urto. L’onda ha travolto la barca».
La situazione era diventata critica, infatti dopo il cambio di rotta le onde altre hanno iniziato a far muovere e piegare l’imbarcazione sino a quando improvvisamente la barca ha urtato contro qualcosa e ha iniziato a imbarcare acqua ed inclinarsi su un fianco.
«Ho sempre avuto paura che l’imbarcazione potesse imbarcare acqua perché le condizioni del mare non erano delle migliori e le donne ed i bambini impauriti, in queste circostanze, hanno sempre pianto e gridato aiuto; proprio perché si temeva che l’imbarcazione potesse affondare in mare aperto anche perché, da quando siamo partiti dal distretto di Cesme, l’imbarcazione era in condizioni pessime».
Dopo avere aspettato fermi in mare la barca compie altre sette ore di navigazione. «Erano le 4 o le 5 ho potuto scorgere che dalla costa quelle che sembravano delle segnalazioni luminose ed i quattro, pensando che fossero poliziotti, hanno fermato la navigazione cercando di cambiare rotta e modificare il punto di approdo la barca ha urtato qualcosa e ha iniziato a imbarcare acqua ed inclinarsi su un fianco. Ho visto che tre dei membri dell’equipaggio hanno buttato in mare un tender e sono saliti allontanandosi. Ci trovavamo a circa 200 metri dalla riva. Arrivato quasi a riva, ormai provo di forze, mi sono sentito prendere il braccio da un poliziotto che mi ha soccorso e portato in salvo sulla spiaggia».