È una giornata di cordoglio e di dolore il 24 maggio per Lamezia Terme che a 27 anni di distanza piange il barbaro omicidio di Francesco Tramonte e Pasquale Cristiano, addetti alla nettezza urbana uccisi per lanciare un segnale all’interno di un sistema che vedeva la ‘ndrangheta cercare di arpionare gli appalti sui rifiuti. Una cerimonia oggi li ha ricordati proprio sul luogo che ne raccolse il sangue, a Sambiase, nel quartiere della Miraglia, ancora una volta senza  avere in mano i nomi degli assassini, dei mandanti e di chi premette il grilletto di quel kalashikov che ne portò via le vite.

I familiari chiedono giustizia 

«Se ci sarà giustizia per noi ci sarà giustizia anche per Lamezia», ha detto Maria Tramonte, figlia di Francesco. Una giustizia sfiorata e mancata quella per Francesco e Pasquale ma a cui i loro familiari non hanno rinunciato. Francesco Cristiano, fratello di Pasquale, ha rilanciato il suo appello alla magistratura affinché riapra il caso, «ma lo faccia adesso».

 

Mentre il prefetto Alecci ha voluto sottolineare come la sua presenza, anziché quella di un sindaco, fosse legata proprio a quel filo rosso che portò nel 1991, anno dell’omicidio, al primo scioglimento del Comune per presunte infiltrazioni mafiose, fino poi ad arrivare ad oggi, al terzo scioglimento.

 

Presente anche Eugenio Bonaddio, la terza mancata vittima dell’eccidio. Si salvò trascinandosi ferito per i vicoli e portando a casa la pelle ma anche delle immagini tragiche che lo avrebbero segnato a vita. Alla cerimonia anche il presidente della commissione anti ‘ndrangheta Arturo Bova che ha invitato a sfuggire da facili populismi e a credere nella presenza dello Stato.