Sono passati 52 anni, oltre mezzo secolo, ma il loro ricordo è vivo e la commozione ancora intensa. Era il 15 gennaio del 1968 quando il geologo Maurizio Grandinetti e il minatore capo Dante Leo morivano nelle Terme di Caronte, a Lamezia Terme, durante i lavori di captazione di una nuova sorgente solfurea. Mentre effettuavano un sopralluogo i due professionisti vennero colti da una nube di anidride solforosa che li soffocò.

 

Miracolosamente qualcuno si salvò e tra questi l’attuale presidente delle Terme Emilio Cataldi, all’epoca giovanissimo, che ancora sente bruciante il dolore per quella tragedia e che ha voluto omaggiare le vittime e i loro familiari con una messa, una targa marmorea a loro dedicata e un’opera scultorea realizzata dal maestro Francesco Antonio Caporale. Occhi lucidi e ricordi di un’epoca ormai lontana tra i presenti, dalle autorità politiche, istituzionali e religiose, ai familiari, ai superstiti.

 

«Io e un minatore – ci racconta Cataldi – ci siamo salvati, forse non era arrivata la nostra ora. È stata una tragedia, specie per le famiglie che hanno perso un marito e un giovane brillante». «Era un atto dovuto – ha aggiunto il presidente della Terme Caronte - e siamo contenti di consegnare questa memoria a chi visiterà le Terme in futuro».

 


Quei lavori non vennero mai terminati, troppo era stato pagato. Sulla vicenda venne anche aperta un’inchiesta. Tra le possibili cause, si disse, il contemporaneo terremoto in Sicilia. La galleria era lunga cento metri e Grandinetti, appena arrivato appositamente da Roma, ne aveva percorso insieme a Leo, residente a Colosimi e padre di quattro figli, neanche quaranta quando si sprigionò la nube.

 

Inutili i tentativi di soccorrerli, vennero allora allertati i Vigili del Fuoco che ci misero oltre due ore a recuperare i corpi. Una vera e propria tragedia che ora trova memoria nel parco della struttura lì dove si trovano la Chiesa dei Santi Quaranta Martiri.