VIDEO | Sversamenti illegali già dal 2012 e pure quando gli indagati erano a conoscenza di essere nel mirino degli inquirenti. L’operazione Waste water dello scorso gennaio ha risvolti inquietanti
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Erano iniziate già nel 2012 le condotte fraudolente dell’Ilsap e non si erano stoppate nemmeno quando gli indagati avevano saputo di avere addosso gli occhi degli investigatori. È uno degli aspetti che emerge dalle carte dell’operazione Waste Water condotte dalla Guardia di Finanza di Catanzaro e dal Noe, oltre che dalla Capitaneria di Porto di Vibo Valentia e che ha portato all’applicazione della misura dell’interdizione dell’esercizio di attività imprenditoriale nel settore dei rifiuti nei confronti di: Leonardo Angelastri, presidente del consiglio di amministrazione della Ilsap Srl, Roberto e Maurizio Martena, detentori del 33% ciascuno di quote della stessa società e Giovanni De Ninno, direttore dello stabilimento. Indagati anche i dipendenti dell’impianto.
Sanzioni pagate per poi "ricominciare"
Secondo le accuse, gli scarti di lavorazine, per lo più del biodiesel, venivano fatti confluire nei terreni circostanti o fatti arrivare fino al mare. Le percentuali di inquinamento in alcuni casi sono state quasi pari al cento per cento, con gravi danni anche per le specie acquatiche. Quando, nel tempo, Corap e Municipale avevano segnalato delle anomale “fuoriuscite” di fluidi, llsap aveva versato le sanzioni applicatele e aveva poi ripreso nella sua condotta illecita, che gli stessi inquirenti non esitano a definire insidiose e odiose.
Il risparmio "appoggiandosi" al depuratore consortile
Tre milioni e mezzo di euro la cifra risparmiata evitando la corretta depurazione e che è stata sequestrata. Ma non solo, il depuratore consortile in questo modo veniva sovraccaricato ritrovandosi ad avere a che fare con sostanze organiche non biodegradabili. La tubazione originaria era stata, invece, scollegata.
C’era poi ciò che veniva sversato nei terreni appartenenti ad area a vincolo paesaggistico. Nelle carte della Procura di Lamezia viene spiegato poi che gli indagati non adottavano le migliori tecniche disponibili per la prevenzione dell'inquinamento, disponendo, invece, di un impianto di trattamento delle acque reflue vetusto, inattivo ed inidoneo a garantire il rispetto dei limiti di emissione.
Le accuse
Effettuavano il deposito, il recupero la gestione e lo smaltimento dei rifiuti solidi liquidi delle acque reflue e dei fanghi di depurazione prodotti nel complesso industriale in difformità alla normativa ambientale e al piano di monitoraggio e controllo non rispettavano se non di rado, negli anni 2017 e 2018, le cadenze per la trasmissione dei risultati degli autocontrollo, come il campionamento e i certificati analitici. Ancora, non garantivano il sistema di contenimento degli inquinanti e non effettuavano alcuna comunicazione delle avarie dei malfunzionamenti dell'impianto che avrebbero comportato la sospensione immediata delle lavorazioni e la rimessione in efficienza dell'impianto, oltre a non annotare nel registro di carico e scarico le operazioni di manutenzione dei filtri nei ispeziona vano mensilmente il sistema di depurazione.
Il sequestro precedente
Quando le forze dell’ordine si sono recate sul posto per arrestare il direttore dello stabilimento e custode nominato dal giudice De Ninno per violazione dei sigilli, lo hanno trovato intento ad azionare la pompa che avrebbe sversato i reflui nella condotta di allontanamento consortile. È il 14 febbraio 2020. A marzo 2020 viene fatto un primo sequestro preventivo: 135 milioni di euro per reati contro l’ambiente, deposito incontrollato di rifiuti di varia natura allocati nell’“ex sir” di Lamezia, illecito sversamento nelle matrici suolo e acqua, di reflui industriali.A novembre 2020 vengono fatti nuovi rilievi che evidenziano che il tasso di inquinamento è rimasto altissimo. «Se ne deduce – si legge nelle carte dell’inchiesta - che le condotte sono rimaste pressoché simili, nonostante siano state dissequestrate le quote societarie e restituite agli amministratori giudiziari».
Le immagini dell'Agenzia Spaziale Europea
Daniele Cerra, studioso del Centro Aerospaziale Tedesco (DLR), originario di Lamezia Terme, attingendo a delle immagine da satellite Sentinel-2 dell'agenzia spaziale europea (ESA), processate su piattaforma Google Earth Engine, nonché sul altro materiale scientifico in fase di studio, avanza l’ipotesi che le zone di acqua verde nella zona interna del Golfo contengano un’alta concentrazione di materiale organico disciolto cromoforico (CDOM), il cui valore spesso aumenta in prossimità di scarichi fognari. Un'affermazione la sua svincolata dall'inchiesta Waste Water, tiene a precisare.