Chiuse le indagini nei confronti dell’imprenditore Giuliano Caruso e del commercialista Gianfranco Muraca. L’avviso è stato emesso dal procuratore della Repubblica di Lamezia Terme Salvatore Curcio.


I due professionisti lametini sono indagati per il reato di usura nei confronti di un imprenditore. Dalle indagini, condotte dal Gruppo di Lamezia Terme della Guardia di finanza, sarebbe emerso un complicato sistema illecito di prestito usurario, al quale gli indagati avevano tentato di dare parvenze legali.


In particolare, secondo la ricostruzione effettuata, l'imprenditore vittima dell'usura, in un momento di crisi sarebbe stato costretto a sottoscrivere un contratto di associazione in partecipazione, regolarmente registrato, con il quale accettava l'apporto di capitali erogati da Caruso per 250.000 euro. Somma che si impegnava a restituire mediante il versamento di rate mensili con interessi pari al 23%.


Secondo l'accusa si tratterebbe di "pattuizione usuraria".
L'associazione in partecipazione è un contratto di scambio con il quale, di norma, l'associato apporta un finanziamento all'impresa e come contropartita partecipa agli utili della stessa.


Nel contratto stipulato tra gli indagati e la vittima, invece, la clausola derivante era quella che prevedeva, a fronte del finanziamento, un "reddito minimo garantito" annuo di 69.000 euro per sei anni, mediante rate di 5.750 euro al mese, e, al termine di tale periodo, la restituzione dell'intero capitale.


Secondo quanto é emerso dalle indagini, l'imprenditore indagato da solo non sarebbe stato in grado di formulare un tale articolato sistema di finanziamento ed è in questo contesto che entrerebbe in gioco il commercialista, il quale avrebbe dato un consistente contributo alla formalizzazione del prestito usurario.


Per tale ragione il Gip di Lamezia Terme, su richiesta della Procura, aveva disposto, nell'ottobre scorso, nei confronti di Caruso e Muraca il sequestro per equivalente di disponibilità finanziarie, beni mobili ed immobili fino alla concorrenza di 217.000 euro, pari alle somme di interesse che aveva corrisposto la vittima fino a quel momento, ridotto successivamente ad 110.000 euro dal Tribunale del Riesame.