È ripreso a piovere a San Pietro Lametino. Appena il tempo di portare via il piccolo Nicolò dal quel groviglio di rami che ne aveva arrestato il corpicino e la pioggia ha iniziato a bagnare il terreno. Per sette giorni ci si è augurato che il tempo tenesse, che il sole permettesse di potere procedere con celerità alle sue ricerche.

 

Ma ora quel luogo che per una settimana è diventato un punto di ritrovo, un crocevia di volontari, mezzi meccanici di ogni tipo, forze dell’ordine sta per tornare al suo silenzio. Rimangono le enormi buche, lasciate da chi ha scavato senza tregua per cercare il piccolo. Rimangono i nastri bianchi e rossi che delimitavano la cosiddetta “area rossa”, la zona di ricerca, restano le bottigliette d’acqua vuote di chi cercava ristoro all’arsura, i bicchierini da caffè che hanno scandito le ore della ricerca, i guanti da lavoro.


La ricerca di Nicolò ha unito centinaia di cuori. In tantissimi hanno battuto quei terreni, anche con mezzi propri. Come Antonio Priamo, l’escavatorista che da stamattina alle sei era all’opera sul quel terreno, in quella porzione di zolle in cui sono stati trovati anche mamma Stefania e il piccolo Christian. O come Domenico Dedato. Visi semplici, persone vere, umili, lavoratori. Entrambi non vogliono rilasciare interviste. Non vogliono prendersi meriti.

 

Un gruppo compatto quello dei volontari, coeso, che ha lavorato dando l’anima e che sin dall’inizio ha rifiutato i riflettori. Non a caso, quando hanno capito di avere trovato Nicolò hanno chiamato subito il padre Angelo che si trovava nella camera ardente in cui c’erano i feretri della moglie e del figlioletto maggiore. Prima ancora che le forze dell’ordine, prima ancora delle autorità militari, hanno avvisato lui. Lo avevano detto, ce lo avevano detto nelle ore passate in questi giorni, mentre con gli stivaloni affondavano nel fango, mentre sul viso avevano sudore e terra: «Quello che facciamo lo facciamo per Angelo. Vogliamo restituire Nicolò al suo papà».