La famiglia Paparo aveva creato un rifugio dotato di ogni comodità. Per entrare si doveva ruotare un pomello collegato a un congegno meccanico. Tutte le strategie per tenere al sicuro il capo
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Hanno dotato un bunker di tutti i comfort e anche di video sorveglianza per consentire al boss Cosimo Damiano Gallace di sottrarsi al carcere in seguito alla condanna della Cassazione sul procedimento Appia che cristallizzava la presenza della cosca Gallace nel Lazio.
A mettersi a disposizione di Cosimo Daminao Gallace c’erano, secondo la Dda di Catanzaro, almeno 20 persone, molte delle quali appartenenti alla famiglia Paparo.
In particolare, l’imprenditore Antonio Paparo aveva garantito al boss un rifugio realizzato nella sede operativa della sua impresa edile a Isca dello Ionio, località Ingutto. Qui Gallace ha potuto ricevere la famiglia e avere incontri anche con appartenenti alle famiglie Comito e Matastasio di Monasterace, alleati storici dei Gallace. Non solo. La famiglia Paparo assicurava turni di vigilanza notturna e assistenza, compresa la pulizia del bunker, per la quale si sono prodigati Antonio Paparo, Angelo Domenico Paparo, Pasquale Paparo classe ’92, Pasquale Paparo classe ’98, Nicola Paparo e Maicol Paparo.
Con l’aiuto di queste persone – e anche di Domenico Vitale classe ’69, Domenico Vitale classe ’76, Agazio Andreacchio, Francesco Giorgi, classe ’97, Franceco Aloi, Cosimo Sorgiovanni, Moreno Rocco Riitano, Giovanni Renda, Ilario Comito classe ‘67, Giuseppe Bava, Angelo Gagliardi, Gregorio Paparo, Gregorio Grande, Antonio Ussia – il boss, iscritto nella lista dei latitanti più pericolosi, si è tenuto lontano dal carcere dal 25 novembre 2020 al sette ottobre 2021, garantendosi anche il Natale con la famiglia.
L’accesso al bunker sotto una specchiera
L’appartamento, sottoposto anche a lavori di manutenzione, era situato lontano dal centro abitato, all'interno di un impianto di calcestruzzo dove venivano custoditi autocarri e altri mezzi della ditta di Antonio Paparo, protetto da un circuito di video sorveglianza che trasmetteva le immagini in tempo reale all'interno della cucina dell’appartamento.
Al bunker si accedeva da sotto una specchiera della camera da letto grazie a un meccanismo di apertura. Infatti l'apertura che dava accesso al bunker era collegata ad un congegno meccanico che si avviava ruotando un pomello che fungeva da appendiabiti che si trovava vicino alla specchiera.
A disposizione del boss c’erano anche due diversi sistemi di allarme collegati a servizi di vigilanza. Senza contare i turni che facevano gli stessi Paparo.
Il boss aveva a sua disposizione anche auto, di cui una adibita a staffetta (con targhe non direttamente riconducibili ai Paparo) per avere accanto, quando lo desiderasse, la presenza della compagna e della figlia.
Il “sistema casa”
Il “sistema casa” era un modo criptico per intendere i lavori che dovevano essere eseguiti per realizzare il nascondiglio. Lo stesso Gallace aveva individuato un operaio di sua fiducia per per murare una finestra nel locale destinato a diventare bunker. È Antonio Paparo, poi, che comunica a Gallace l’acquisto di mobili per arredare il nascondiglio.
Ogni traccia che potesse ricondurre alla presenza di Gallace all’interno dello stabilimento di Antonio Paparo veniva cancellata o distrutta come bruciare la spazzatura o coprire le telecamere. Un lavoro meticoloso pur di aiutare il boss ad evitare il carcere.