«Fai una fossa e buttati di dentro». È il consiglio poco amichevole che il 6 ottobre del 2023, Francesco Abbruzzese dispensa a un imprenditore agricolo della Sibaritide. Quell’uomo gli deve dei soldi, avrebbe dovuto restituirglieli già ventiquattr’ore prima, a mezzogiorno, ma purtroppo è ancora inadempiente. «Te l’ho detto cinquanta volte – lo incalza Abbruzzese – Mi devi pagare anche il vecchio, se no lo vedi il bastone dov’è?».

C’è anche questa imposizione negli atti dell’inchiesta che, poche ore fa, ha portato all’arresto di quindici persone, sospettate a vario titolo di aver coperto e favorito la latitanza di Leonardo Abbruzzese. È un dialogo che i carabinieri del comando provinciale di Cosenza intercettano ai tempi in cui infuria la caccia all’esponente del clan degli zingari di Cassano allo Ionio, irreperibile dal precedente mese di giugno. Mentre indagano sulla sua fuga e sulla rete di fiancheggiatori che l’ha favorita, i militari si imbattono anche in un traffico di droga e in alcune estorsioni messe a segno dagli uomini del suo gruppo criminale. Quella all’imprenditore agricolo si rivela dai contorni particolarmente drammatici.

Quel 5 ottobre, infatti, Abbruzzese sembra molto determinato a farsi consegnare i soldi. «Te li sta andando a prendere» tenta di giustificarsi il malcapitato, chiamando in causa la propria moglie e il cognato che, a suo dire, «stanno facendo certi passaggi» per recuperare la somma in questione. L’imprenditore vorrebbe allontanarsi da lì, fa un passo in avanti. «Per piacere» è la preghiera che rivolge al suo interlocutore, che però ha altre idee per la testa: «Siediti lì e non ti muovere. Se no ti lego dietro alla macchina e ti trascino». La vittima implora: «Devo andare… io devo andare», ma quello non vuole sentire ragioni: «Fermati qui e non ti muovere, ohi pagliaccio di merda. Vai dai miei zii che ti stanno cercando e ti devono legare alla mangiatoia. Va, va…».

Tutto molto esplicito, ma non per il diretto interessato. Poche ore dopo, infatti, gli investigatori portano al loro cospetto l’imprenditore e gli chiedono conto delle minacce da lui ricevute. L’uomo, però, si mostra poco collaborativo e quando i militari gli fanno ascoltare la registrazione di quel colloquio, minimizza l’accaduto. La prospettiva di essere legato a un’automobile e poi trascinato, è per lui «un’affermazione amichevole e dal tono scherzoso». Anche dell’invito a scavarsi la fossa da solo offre un’interpretazione meno cupa: «Frasi dal tenore ironico». Il debito contratto con gli Abbruzzese, spiega agli uomini in divisa, ammonta a sette-ottomila euro e deriva dall’acquisto di un’auto, una “Giulietta”, che ha poi restituito al mittente dopo una quindicina di giorni, pareggiando così i conti. In realtà, per mettere le cose a posto, sarà costretto a vendere un piazzale di sua proprietà.