Il 20 novembre 2023 la sentenza del maxi processo Rinascita Scott ha inflitto oltre 200 condanne a boss e gregari della ‘ndrangheta vibonese. Tra questi Pasquale Bonavota, 50 anni, che è stato condannato a 28 anni di reclusione con l’accusa di essere il capo Società dell’omonima cosca che affonda le proprie radici a Sant’Onofrio, è attiva anche su Filogaso, Maierato, Pizzo e con ramificazioni nel Lazio, Liguria, Piemonte e fino in Canada. Pasquale Bonavota curerebbe gli interessi del sodalizio nella zona di Roma e nei settori del gioco d’azzardo e del traffico di droga.

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«Elemento di vertice della struttura di Sant’Onofrio»

«Pasquale Bonavota è l’elemento di vertice della struttura di ‘ndrangheta di Sant’Onofrio», dice il comandante provinciale dei carabinieri di Vibo Valentia Luca Toti. Adesso si trova ristretto in regime di 41bis ma fino al 27 aprile 2023 si trovava a Genova, latitante. È una delle figure chiave della puntata di Mammasantissima, condotta da Pietro Comito, andata in onda il 9 aprile. Una primula rossa importante, nel ranking dei latitanti di massima pericolosità, sulla quale si è molto concentrato il lavoro degli investigatori.

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Vita a Genova tra sacro e profano

I carabinieri del Reparto operativo speciale, col supporto indispensabile dei comandi provinciali di Vibo Valentia e Genova, lo hanno seguito e poi fermato nella cattedrale di San Lorenzo dove si era recato per pregare. Non ha opposto resistenza e ha ammesso di essere colui che cercavano. Come Matteo Messina Denaro anche lui portava con sé la carta d’identità e la tessera sanitaria di un uomo realmente esistente, Francesco Lopreiato. Barba lunga, occhiali, abiti scuri, queste le prime foto scattate dopo la cattura. Addosso non portava armi ma 1.600 euro in una busta di plastica, i documenti falsi, l’abbonamento mensile per i mezzi pubblici di Genova, chiavi, una pendrive, 40 immaginette sacre, la drink card di una discoteca, quattro telefoni cellulari. Secondo la sua falsa identità era un operaio di 52 anni. E col nome Lopreiato aveva fatto analisi del sangue e radiografie a Genova. L’appartamento però lo aveva affittato a nome “Domenico” e, all’occorrenza, aveva tutto il necessario per documenti di identità falsi compreso un timbro a secco in metallo di argento nero dell’ufficio anagrafe del Comune di Sant’Onofrio.

Prima la vita da barbone poi l’appartamento da 680 ero al mese

Viveva in un appartamento di via Bologna a Genova. Se è vero ciò che ha raccontato, dopo la cattura, quando ha reso dichiarazioni spontanee nel corso di un’udienza del maxi processo Rinascita: «Ho dormito – ha detto – per circa un mese come un barbone», aiutato da persone delle quali parla come di una umanità «indescrivibile» che non vede l’ora di poter «abbracciare uno per uno». In qualche modo si è poi sistemato in via Bologna dove pagava puntualmente un affitto di 680 euro al mese. Qui i carabinieri hanno trovato altre due carte d’identità, intestate a due diversi Domenico, tra i quali uno è Domenico Ceravolo, anche questa una persona realmente esistente e chiamata a testimoniare come teste a favore di Giovanni Giamborino, uomo fedelissimo al boss luigi Mancuso.