«Hanno rubato questa macchina a “Cancello rosso”, che è un quartiere di Vibo Valentia, “Cancello rosso”, e stavano… lo aspettavano due, tre sere sotto casa, che andavano in giro nelle case popolari dove questo Longo doveva rientrare. Poi lo hanno intercettato sulla strada per Triparni, so che praticamente, gli hanno suonato, lui si è fermato ingenuamente e gli hanno sparato in faccia». Finisce così, secondo il pentito Andrea Mantella, la vita di Mario Longo, individuato dal clan dei Piscopisani come un nemico da abbattere. Mantella, in un verbale del marzo 2019, spiega di «non aver ricevuto informazioni» sulle circostanze «che avevano permesso al commando di intercettare la vittima sulla strada per Triparni». Dice, però, che il suo gruppo utilizzava per compiere questo genere di azioni sempre lo stesso modus operandi: la cosiddetta «trappola del topo, in cui la vittima viene condotta sul luogo del delitto da un finto amico con un pretesto».

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Mantella era il capo dell’ala armata dei Piscopisani ed è uno dei collaboratori chiave nel racconto giudiziario della ’ndrangheta nel Vibonese. L’omicidio di Mario Longo, commesso nell’aprile 2012, è uno dei tasselli della guerra di mafia dei primi anni 10 del secondo millennio. Per il pentito «era stato determinato per dare una risposta subito dopo l’omicidio di Francesco Scrugli», esponente di primo piano del clan di Piscopio e braccio destro di Mantella. I Piscopisani credevano che Longo avesse dato indicazioni ai Patania sull’abitazione di Vibo Marina nella quale i membri della cosca emergente erano soliti dormire. Dettaglio essenziale in tempo di guerra: quell’informazione, sintetizzano i pm della Dda di Catanzaro, «aveva reso possibile l’omicidio di Francesco Scrugli, nonché il tentato omicidio di Raffaele Moscato e di Rosario Battaglia, i quali miracolosamente scamparono all’agguato».

«(Antonio, ndr) Pardea e Salvatore Morelli – Mantella cita le proprie fonti – mi dicevano che praticamente l’omicidio di Mario Longo era dovuto… che praticamente aveva dato delle informazioni a un clan rivale su dove si nascondessero… Gli hanno sparato per questo motivo, questo gruppo dei “Piscopisani”, per vendicare proprio questa, questa spia che, praticamente, Longo aveva fatto per conto di un clan avversario». L’omicidio di Longo sarebbe dovuto essere il primo di una serie: Mantella riferisce infatti che Rosario Battaglia – tempo dopo, dal carcere – gli avrebbe fatto avere un pizzino in carcere nel quale «mi spiegava, più o meno, chi era stato a uccidere Scrugli e più o meno quello che era stato fatto, dice: “Qualcosa l’abbiamo fatta però stai tranquillo che chi esce per primo sarà vendicato”».

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Le informazioni sull’omicidio circolano in carcere: anche Mantella è intenzionato a uccidere per vendicare il suo amico Scrugli. Cambierà idea e deciderà di collaborare alla giustizia. Ma non dimentica chi gli avrebbe fornito informazioni sul delitto Longo: «Anche Domenico Bonavota mi fece avere un bigliettino con un brigadiere, quando io ero alle celle di sicurezza, mi aveva mandato un bigliettino dove mi accennava, dove mi accennava grossolanamente come erano stati i fatti». L’appoggio logistico per il delitto sarebbe stato offerto dal clan Tripodi, alleato dei Piscopisani e di base a Portosalvo: «Loro là avevano pure una base militare, se così si può chiamare, avevano delle macchine rubate, delle armi, della droga, quindi è come se fosse che erano nella stessa Piscopio, dove loro abitavano lì a Portosalvo, quindi questa macchina rubata la mettevano pure in una zona vigilata dai Tripodi. Quindi l’appoggio logistico sulla zona è stato dei Tripodi, come è stato pure per l’omicidio di Nicola Palumbo, l’assicuratore».

Bartolomeo Arena, altro pentito che ha vissuto le convulse fasi della faida a Vibo Valentia, inserisce tra i «responsabili dell’omicidio» anche Antonio Staropoli. Staropoli sarebbe l’uomo che «ha condotto, con l’inganno» Longo «nel luogo dove, poi, è stato ucciso». Sarebbe infatti salito a bordo dell’auto della vittima per farlo arriva dove «sarebbe stato commesso l’omicidio». Arena conferma «che l’omicidio era stato “eseguito dallo stesso Rosario Mantino con una pistola di grosso calibro (se non erro una 357)», calibro rinvenuto sulla scena del crimine.

Le sue rivelazioni sul movente sono contenute in un verbale del 20 novembre 2019. «Il delitto – spiega – veniva realizzato in quanto i Piscopisani reputavano che Longo fosse una spia di Pantaleone “Scarpuni” Mancuso e che facesse il doppio gioco, sia con i Piscopisani che con i Mancuso». Longo – in questo la sua versione è simile a quella di Mantella – sarebbe stato una «spia dei Mancuso, nonché colui che aveva indicato ai Patania dove si trovasse Francesco Scrugli».

Le dichiarazioni di un altro collaboratore di giustizia, Antonio Guastalegname, sono ancora più recenti: risalgono al 17 febbraio 2022. E riferiscono del malanimo di Rosario Battaglia nei confronti di Longo: «Mario Longo parla assai… ci mbujamu a vucca», cioè «gli chiudiamo la bocca».