Le strategie del fratello dell’ex consigliere regionale per salvare dall'usura un pezzo grosso delle logge della Piana e le omissioni della consorte, ufficiale dei carabinieri e figlia del brigadiere Nino ucciso dalla 'ndrangheta, oggi indagata
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Un intervento interessato con l’obiettivo di una scalata massonica. Coinvolgere i clan per puntare ad una migliore collocazione all’interno delle logge. Era questa la manovra pensata da Nino Creazzo, finito prima in carcere poi ai domiciliari per associazione mafiosa nell’inchiesta Euphemos, quando ha chiamato in causa il potente clan Crea per obbligare gli strozzini a smettere di vessare l’imprenditore Cosimo Petrolino. Una delle tante per Creazzo, che per i magistrati insieme ai clan ha costruito il successo elettorale del fratello, l’ex consigliere regionale di Fdi Domenico Creazzo, grazie ad una strategia definita insieme ai clan. Ma almeno in privato, una di cui vantarsi.
Quel giro di usura costato un’indagine a carico a Ivana Fava
«Una cosa che manc’i cani» la definisce lui nel parlare con la moglie Ivana Fava, che per aver taciuto su quel giro di usura il 14 gennaio è stata iscritta sul registro degli indagati dalla procura antimafia di Reggio Calabria. Un reato, per gli investigatori che ascoltavano le conversazioni di Creazzo, tanto grave da indurli ad inviare una nota al pm, invocando anche «urgenti ed idonei provvedimenti restrittivi della libertà personale» per «arginare ed interrompere le condotte illecite tutt'ora in atto e scongiurare la realizzazione di ulteriori delitti, e/o che tali reati vengano reiterati o portati a conseguenze ulteriori».
Il copione dell’oppressione
E ci tengono a «rimarcare» - questo il verbo che usano - «la peculiarità della vicenda che risiede, senza alcun dubbio, nella circostanza che persone della cultura di Petrolino Cosimo, in situazioni di difficoltà, a seguito di pressioni e minacce poste in essere da parte di soggetti criminali, si rivolgano a persone che orbitano in quella zona "grigio/scura" della società, i quali, a loro volta, interessano soggetti criminali per ottenere un risultato che, per logica, dovrebbe essere richiesto allo Stato e non all'antistato».
Per gli investigatori «per logica», per altri no
Un copione già visto, espressione di una logica di asservimento alla dittatura della ‘ndrangheta che indagine dopo indagine si cerca faticosamente inquirenti e investigatori cercano di scardinare, strappando palmo a palmo i pezzi di società, economia, politica, ma anche vita quotidiana ai clan. Per questo, per gli agentii del commissariato di Palmi che hanno redatto l’informativa, «per logica» Petrolino avrebbe dovuto rivolgersi in primo luogo allo Stato. Per Ivana Fava, no.
I silenzi e le omissioni di Ivana Fava
Per lei, ufficiale dei carabinieri e figlia del brigadiere Nino che insieme al collega Cecè Garofalo, nel gennaio ’94 è stato sacrificato dai clan sull’altare della stagione degli attentati continentali, quella che il marito le racconta è una circostanza come un’altra. Quando Creazzo in dettaglio le spiega le vessazioni che Petrolino aveva subito per aver osato chiedere soldi in prestito alle persone sbagliate, lei, ufficiale dell’Arma, non pensa di segnalare la cosa. Anzi ride, quando il marito tace e cambia discorso alle sue domande su chi sia stato il latore di tanto convincente «ambasciata». E quando alla fine le confessa di averla mandata «con i suoi parenti veri (il clan Crea ndr) con quelli che lui dice che sono suoi parenti ... (incomprensibile)», lei si limita a prenderne atto. «Infatti immaginavo che gliel'hai mandata con qualcuno di...» risponde. Come se fosse un comportamento abituale, noto anche a lei.
Lacrime e giustificazioni ex post
Eppure ci ha tenuto a mostrarsi assolutamente incredula, anzi pentita di essere stata «superficiale, bonacciona» quando Creazzo è finito in manette nell’operazione Euphemos come uomo dei clan e l’inchiesta ha svelato selfie con i parenti di boss, frequentazioni inopportune e conversazioni imbarazzanti anche di lei. Trincerata dietro lacrime e sospiri, all’epoca non ha spiegato nulla, non ha chiarito neanche una di quelle circostanze. Si è scagliata contro gli «articoli che gettano fango su di me» e ha provato a giustificarsi. «Tante volte mi sono arrabbiata con mio marito per certe sue frequentazioni, se ci sono le intercettazioni in casa sentiranno anche le mie urla» ha sostenuto.
Le frequentazioni scivolose di Nino Creazzo
Ma per gli investigatori, è con una «frase pronunciata ridendo» che ha chiesto a Creazzo di rivelarle il nome «dell’amico» tramite cui ha ordinato a Crea di smettere di vessare Petrolino «perché io mi preoccupo di questa cosa». E d’altra parte né allora, né poi, Ivana Fava ha spiegato se a impensierirla fossero i rapporti di ‘ndrangheta o quelli para- massonici più o meno impastati di ‘ndrangheta, che – è emerso dall’inchiesta Euphemos - sembrano essere stati i canali attraverso cui il marito ha tentato di aggiustare sentenze per far scarcerare piccoli e grandi boss. O se sapesse che anche quell’intervento in favore di Petrolino era in realtà dettato – ricostruiscono gli investigatori - dalla volontà di guadagnare considerazione e peso nel mondo delle logge ufficiali, di cui Petrolino era espressione.
«Cosimo si deve tenere buono perché comanda nella Piana»
«Cosimo si deve tenere buono perché sennò non prende nie ...» dice Creazzo, intercettato «Cosimo è ... io ti dico io, che Cosimo con Tonino Seminario, lo so io per certo, vanno bene». Gran Maestro aggiunto del Goi, faccia pubblica dell’obbedienza in Calabria, Seminario nel mondo dei grembiuli calabresi è un nome di peso. Così come Petrolino – spiega Creazzo – lo è nella Piana. «Poi di fatto, c'è chi comanda per la Piana, chi comanda a Reggio, chi comanda la Jonica ... la fatta è così! E qua nella Piana è Cosimo il numero uno! Però poi quando ... quando Tonino si deve relazionare, non si relaziona con questo! Tonino chiama a Cosimo! Senti che ti dico io!».
Le parentele pesanti “dell’amico di sempre” Domenico Alvaro
Per Creazzo, che nel mondo dei grembiuli ci sta con passione e dedizione, un motivo sufficiente per scomodare anche l’amico di sempre Domenico Alvaro. E il marito di Ivana Fava dimostra di conoscere bene tutta la famiglia. Inclusi i trascorsi del padre di Domenico, Nicola Alvaro «arrestato per l'omicidio del Generale dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, all'epoca Prefetto di Palermo, poi scagionato dall'imputazione dal Giudice Giovanni Falcone che non aveva ritenuto credibile e/o attendibile il pentito che lo accusava».
E quei sospetti su Matteo Messina Denaro
Anche sulle accuse recenti, ci tengono a sottolineare gli investigatori –sembrava particolarmente informato. «Aggiungeva – si legge nella sintesi delle conversazioni ascoltate - che la famiglia di Alvaro Domenico, segnatamente il padre, fosse stato indicato come il soggetto che favoriva la latitanza di Matteo Messina Denaro, nella loro zona di influenza, ovvero il territorio compreso tra i comuni di Sinopoli e San Procopio».
Frequentazioni notoriamente pericolose
Tutti elementi che non sembrano aver mai turbato più di tanto Creazzo. E neanche la moglie, che sapeva perfettamente dello storico del legame del marito con Domenico Alvaro, al pari dei guai giudiziari di quest’ultimo. Anzi lei stessa lo sospettava impegnata in attività illecite. «Mi pare che hanno un tenore di vita che manco il Re Filippo se lo può mantenere! Dai! (..)Senti, da qualche parte gli devono entrare i soldi? Magari non lo sa nemmeno lui da dove gli entrano, però gli entrano» commenta intercettata l’ufficiale. Sospetti che per la sua famiglia erano una certezza, se è vero che quando Alvaro ha sposato la cugina di Ivana Fava. «Hanno fatto un manicomio, tipo per non... che non lo volevano a lui, hai capito, i parenti. Ti parlo di quindici anni, venti anni fa. Il papà di Graziella, che è il cognato dello zio di Ivana non lo voleva, non lo voleva in nessun modo».
A tavola con i boss
Insomma, che fosse un soggetto poco raccomandabile era notorio. E l’ufficiale ci è finita a cena ma – si giustifica - «me la sono trovata organizzata», con la coppia c’è una conoscenza antica ma una frequentazione nulla. Però il «selfie sorridente» scattato a fine pasto, che gli investigatori del commissariato di Palmi hanno acquisito e viene citato più e più volte nelle carte, non restituisce alcuna sensazione di disagio o di rapporti interrotti. Una cosa che magari Ivana Fava, adesso che è indagata, dovrà spiegare anche in sedi ufficiali. Al pari forse di quell’intervento nell’Ufficio Interdittive della Prefettura su richiesta del marito che le indagini hanno interamente documentato.
L’intervento in Prefettura
È lì che in passato Ivana Fava ha prestato servizio, è lì che dopo il ritorno nei ranghi della Difesa civile puntava a tornare a lavora, ma soprattutto è lì – emerge dalle carte – che, su richiesta del marito, ha cercato di forzare la mano ai funzionari per regalare certificazioni antimafia all’imprenditore Antonio Bivone. Uno «che non aveva i requisiti di legge» ma era utile per la campagna elettorale del cognato, il neoconsigliere regionale di Fdi, Domenico Creazzo, finito ai domiciliari per corruzione elettorale. Se non le sia sembrata inopportuna quella richiesta, viziata – e ne era cosciente – da un tornaconto elettorale non lo ha mai spiegato. Tanto meno se nel progettare di tornare in quell’ufficio non abbia mai temuto di ricevere altre sollecitazioni del genere. Domande a cui oggi si potrebbe trovare a dover rispondere.