In tempi di pandemia, la telemedicina è l’uovo di Colombo. Se il quadro clinico del paziente lo consente, resta a casa, monitorato a distanza, senza andare a intasare gli ospedali. L’ha scoperto anche la Calabria, che recentemente ha siglato una convenzione con il Policlinico universitario Gemelli di Roma per usufruire delle sue competenze in materia di teleassistenza. L’operazione, definita anche “svuota ospedali”, prevede il coinvolgimento di un team di esperti proveniente dall’Università Cattolica di Roma che affiancherà i medici calabresi per formarli sui protocolli da adottare e sull’uso degli strumenti per il monitoraggio da remoto dei pazienti.

La notizia è stata accolta, comprensibilmente, come una svolta nella disastrata sanità calabrese. La portata innovativa della teleassistenza è intuibile da tutti, soprattutto in una regione dove molto alta è la percentuale di anziani nella popolazione residente.

La telemedicina in Calabria? C'è ma non si vede

In verità, le cose stanno diversamente. La Calabria possiede già un sistema di telemedicina, ma non funziona. Si chiama CDI2 (Cure Domiciliari Integrate ed Innovative) e se ne parla esplicitamente nel Programma operativo sanitario 2019-2021,dove si legge che è necessario «dare piena attuazione al progetto», ampliando e superando quello precedente, costituito dal sistema Sigemona, un applicativo entrato in funzione nel 2013 in forza di un bando iniziale da 350mila euro. Allora, il sistema era riservato agli interventi socio-assistenziali a favore delle persone non autosufficienti, poi, nel 2018 è entrato in scena il più esaustivo Cdi2 che avrebbe dovuto assorbire e infine sostituire Sigemona, ampliando notevolmente il bacino di utenza e facendovi rientrare anche pazienti che necessitano di cure domiciliari per malattie non croniche, come nel caso, appunto, di una pandemia.

Contratto milionario per un servizio che non decolla

Il relativo contratto da poco meno di 2,3 milioni di euro fu stipulato attraverso Consip con un’associazione temporanea di imprese e furono comprati i device necessari per monitorare a distanza i pazienti (misuratori di pressione, bilance pesa persone, pulsometri, saturimetri e quant’altro, tutto rigorosamente wireless con collegamento bluetooth). Eppure, del Cdi2 si è perso ogni traccia.

Anche perché, la migrazione dei dati dalla “vecchia” piattaforma Sigemona al nuovo sistema, non si è mai realizzata, compromettendo anche l’invio dei flussi al ministero della Salute e, di conseguenza, il calcolo dei punteggi Lea (livelli essenziali di assistenza).

L'allarme dell'ex commissario alla Sanità

Un corto circuito che aveva dato una scossa anche all’ex commissario alla Sanità Guido Longo, che il 14 settembre scorso, poche settimane prima che il Governo gli desse il benservito insediando al suo posto il neo presidente della Regione Roberto Occhiuto, aveva diffuso una nota interna al Dipartimento tutela della Salute sollecitando i dirigenti «ad adottare celermente tutte le idonee soluzioni, tecniche e amministrative, necessarie a una corretta gestione e invio dei flussi ministeriali».

Rischio di danno erariale

Longo, nella sua nota, ventilava anche il rischio di «nocumento al patrimonio informatico regionale, con possibili danni erariali e conseguente azione della magistratura contabile», a causa della sovrapposizione di due sistemi informatici dedicati all’assistenza e alle cure domiciliari, cioè proprio Sigemona e Cdi2. Il commissario ad acta, mostrando forse involontariamente i limiti della sua gestione, chiedeva ai dirigenti di «valutare, anche tecnicamente, le funzionalità dei contratti “Sigemona” e “Cdi2”, con particolare riferimento alla loro contemporanea esistenza o alla eventuale possibilità di rescissione di uno dei due contratti».

Calabria costretta a inseguire anche quando potrebbe fare da apripista

Una richiesta che, dunque, suonava più o meno così: “Cosa stiamo pagando e perché?”. Grande incertezza che fa da substrato alla presunta svolta della telemedicina importata dal Gemelli di Roma, che sicuramente offrirà un’alternativa valida in questo frangente pandemico, ma restituisce l’immagine di una Calabria costretta sempre a inseguire anche quando potrebbe essa stessa a impersonare la “best practice” che cerca altrove; una regione, insomma, che programma, spende e poi mette tutto nel cassetto, costretta a chiedere ad altri ciò che dovrebbe già avere a regime da un pezzo.

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