«Qualsiasi politico che allaccia rapporti con il Barillà – scrive il gip – sa benissimo della sua parentela con il boss di ‘ndrangheta e anche che lo stesso Barillà si avvale dell’aiuto elettorale di Araniti Domenico ed è consapevole del rischio che corre e cioè di vedersi “additato” come politico che ha legami con “determinati ambienti”». Daniel Barillà è un collettore di voti molto attivo in città e che ha rivestito cariche importanti come «membro dell’organismo indipendente di valutazione della città metropolitana di Reggio Calabria» e come professionista esterno per la redazione di un progetto di piano per lo sviluppo infrastrutturale e della mobilità nell’area dello Stretto. 

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Allo stesso tempo il “mago” dei consensi (in conto terzi), è il genero di Domenico Araniti, il “Duca”, capobastone nel quartiere di Sambatello. È lui, Barillà, il perno attorno cui ruota il fattore “politico” dell’indagine della distrettuale antimafia dello Stretto che ha portato ai 14 arresti di questa mattina a Reggio. 

«Il Barillà è un politico fortemente “corteggiato” da più parti – annota il gip – da più schieramenti politici, perché capace di movimentare un apprezzabile numero di consensi elettorali nella provincia di Reggio e non solo nei territori che controlla la famiglia di ‘ndrangheta». Ed è proprio Barillà, sostengono i magistrati reggini (che non hanno trovato l’appoggio del gip che ha negato gli arresti per i politici coinvolti), a tessere le fila per la raccolta voti in due distinte tornati elettorali: il rinnovo per il Consiglio regionale e quello per palazzo San Giorgio. Elezioni in cui, l’indagato, avrebbe sposato, a destra, la causa di Giuseppe Neri, eletto consigliere a palazzo Campanella per Fratelli d’Italia e a sinistra quella di Giuseppe Sera, eletto nell’assise reggina. Matrimoni che sarebbero stati celebrati con l’assenso del potente boss Araniti, capace, dicono le carte, di influenzare il voto popolare nella zona su cui esercita il proprio potere mafioso.

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Le accuse a Neri

Nel caso delle elezioni per il rinnovo del Consiglio regionale, i magistrati ipotizzano che «Neri accettava la promessa di procurare voti in suo favore da parte dei soggetti appartenenti all’associazione mafiosa denominata cosca Araniti, operante prevalentemente all’interno del territorio urbano di Reggio. Lo stesso Neri – si legge ancora nell’ordinanza di arresto – si accordava con Barillà che operava con la supervisione del capocosca Araniti… in cambio dell’erogazione e della promessa di varie utilità tra cui il conferimento dell’incarico di professionista esterno in favore di Barillà». Accuse pesanti che avevano portato i magistrati dell’antimafia a chiedere l’arresto per l’esponente di Fratelli d’Italia ma che sono state respinte dal giudice per le indagini preliminari che, sottolineando la spregiudicatezza politica del genero del boss finito ai domiciliari (capace di tenere contemporaneamente il piede in due “staffe” politiche avversarie tra loro), rimarca come «non si può parlare di strategie elettorali della cosca che sceglierebbe più candidati per poi far convergere le maggiori preferenze su quello vincente» e come «gli elementi non consentono affatto di sostenere in termini chiari che la scelta di sostenere il Neri sia stata assunta da Domenico Araniti: vi è un quadro indiziario contraddittorio che lascia anzi maggiore spazio all’ipotesi che sia stato Barillà a fare tale scelta per ragioni politiche personali». Allo stesso tempo però il gip rimarca che «i fatti che questa indagine ha fatto emergere lasciano ritenere che Neri abbia una spiccata e spregiudicata tendenza ad allacciare rapporti, in funzione elettorale, con soggetti che hanno direttamente o indirettamente legami con la criminalità organizzata. E pure quando ciò gli si palesa, gli risulta chiaro, non rifugge tali rapporti».

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Le accuse a Sera

Se per le regionali del 2021 il procacciatore di voti Barillà si era speso per Neri, allo stesso modo, ipotizzano i magistrati, in occasione del rinnovo del consiglio comunale di Reggio, Barillà si sarebbe messo a disposizione del candidato del fronte opposto, Giuseppe Sera che si era rivolto direttamente al mammasantissima di Sanbatello: «Sera si accordava con il capocosca Araniti recandosi nella sua abitazione nonché con Barillà, rappresentante politico e intermediario per conto della cosca Araniti in cambio dell’erogazione e della promessa di varie utilità tra cui la promessa di inserire Araniti Antonino (figlio del boss, ndr) nella struttura politica comunale del Partito Democratico». Accuse che anche in questo caso non hanno convinto il gip che, respingendo la richiesta d’arresto per il consigliere comunale, annota come «le conversazioni danno conto di come la scelta da parte del Barillà abbia risposto a specifiche strategie elettorali, autonomamente assunte, rispetto alle quali Araniti Domenico risulta del tutto estraneo».