Privato della libertà personale per ben 831 giorni e sballottato da un covo all’altro. Alla fine se ne conteranno ben sette che lo ospitano durante la sua prigionia. Il sequestro di persona più lungo mai avvenuto in Italia è ancora oggi quello di Carlo Celadon, figlio di un industriale vicentino, strappato alla sua famiglia il 25 gennaio del 1988 e restituito ai suoi affetti solo a 1990 ormai inoltrato. Denutrito, sofferente e in stato di prostrazione fisica e psicologica, così si presenta il giovane Carlo – diciottenne all’epoca del rapimento – davanti alle telecamere nel giorno del suo sospirato rilascio.

La quarta puntata di “Mammasantissima” riapre uno dei capitoli più dolorosi della storia d’Italia: quello dei rapimenti a scopo estorsivo a firma dell’Anonima sequestri, qui rappresentata nella sua declinazione calabrese. Nella puntata del format in onda su LaC Tv si ricostruiscono le fasi concitate del rapimento: l’ingresso dei malviventi nella villa dei Celadon, sulle colline venete, la scelta di prelevare il ragazzo e di portarlo poi sull’Aspromonte, dove tra grotte e ripari di fortuna, trascorrerà i successivi due anni della sua esistenza. Nel mezzo, la richiesta choc di riscatto: ben cinque miliardi di lire.

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Attraverso la viva voce dei protagonisti dell’epoca, magistrati e investigatori, la storia di Carlo Celadon riaffiora dalle nebbie del passato e, trentasei anni dopo, ha ancora l’effetto di un pugno nello stomaco, proprio come il primo giorno. La notte stessa arriva la prima telefonata di rivendicazione e, per il suo rilascio, i rapitori chiedono quattro miliardi delle vecchie lire. Per la chiamata successiva, invece, bisognerà attendere altri tre mesi. Così facendo, vogliono minare alle fondamenta la linea dura imposta dagli inquirenti. Riusciranno nel loro intento.

A ottobre del 1988, i fratelli del rapito, calano in Calabria e consegnano la somma richiesta ai carcerieri di Carlo. Non riporteranno a casa il prigioniero, che nel frattempo è sottoposto a sevizie fisiche e psicologiche destinate a lasciare il segno. Gli dicono che suo padre Candido «lo ha abbandonato», che «non gli importa niente di lui, che pensa solo ai soldi». Manipolazioni che agiscono sulla psiche già stravolta del ragazzo. «Ho resistito i primi otto mesi – dirà lui stesso dopo la sua liberazione – ma poi sono crollato». Lo picchiano quando piange. Specie quando piange. E quando prega.

Nonostante i soldi pagati dalla sua famiglia, il rapito resta in mano ai rapitori. E quando alcuni di loro finiscono nella rete degli investigatori, prende consistenza il più terribile dei sospetti: che Carlo Celadon abbia cambiato carcerieri. La cifra richiesta resta sempre quella: cinque miliardi. I carabinieri arrestano altre persone coinvolte nel sequestro, scoprono il secondo covo in cui era alloggiato il prigioniero, ma di quest’ultimo non v’è ancora traccia. Il 1989 è quasi ai titoli di coda. E le speranze di riportarlo a casa, sano e salvo, sembrano ridotte al lumicino.

La situazione si sblocca con il nuovo anno. Le pretese si ridimensionano – non più cinque miliardi, ma “soltanto” due – e così Candido Celadon, riesce a dare fondo a tutti i suoi risparmi residui per mettere insieme la cifra richiesta dagli aguzzini del figlio. Alla consegna del denaro – a conti fatti saranno sette i miliardi pagati dalla famiglia veneta – fa seguito stavolta la liberazione dell’ostaggio. Agli occhi dei poliziotti che lo trovano, nei pressi del crocefisso di Zervò, in pieno Aspromonte, Carlo si presenta come una larva. Dimagrito di venti chili, con la barba lunga e alle prese con evidenti difficoltà motorie.

L’abbraccio con suo padre, le lacrime, la mano che il figlio batte amorevolmente sulla spalla di Candido, cala così il sipario di “Mammasantissima” sulla triste vicenda della famiglia Celadon. Una storia di sofferenza estrema, ma anche di sopravvivenza. Carlo ce l’ha fatta. Altri, prima e dopo di lui, non avranno la sua stessa fortuna.