VIDEO-INTERVISTA | A nove anni dalla bomba in procura generale, il presidente della Corte d’Appello di Reggio Calabria, Luciano Gerardis, chiama parlamentari e Governo alle proprie responsabilità: mafie e povertà da affrontare. «Giudici attenti alla relazioni personali, ma niente scollatura con la società». Il ricordo dell’amico fraterno, Bruno Giordano, e i dati del distretto che vedono forti scoperture d’organico
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«La ‘ndrangheta sta invadendo il mondo. La sua origine storica e il suo comando sono a Reggio Calabria. Per questo chiedo ai parlamentari calabresi ed al Governo di porre la lotta alla criminalità organizzata quale priorità assoluta». È una richiesta diretta quella che il presidente della Corte d’Appello di Reggio Calabria, Luciano Gerardis, fa alla politica. Non si può più attendere, occorre che chi sta al Governo, ma anche chi rappresenta i calabresi in Parlamento, prenda coscienza di quella che è la vera emergenza nazionale. Assieme all’altra che il presidente pone sullo stesso piano della mafia: «Non possiamo prescindere dai dati ecoomici: se oltre il 60% dei nostri giovani è costretto ad emigrare; se la Calabria è all’ultimo posto in Italia per povertà e al quintultimo posto in Europa, tutto ciò non può non essere una priorità».
Presidente Gerardis, qual è lo stato di salute della giustizia a Reggio Calabria?
La giustizia a Reggio Calabria è una macchina sotto sforzo. Purtroppo permangono scoperte pesantissime. Se lei pensa che in Corte, in questo momento, abbiamo tre vacanze più due assenze rispetto ad un organico di 34 unità. Che al Tribunale di Reggio Calabria mancano 12 magistrati di cui un presidente di Sezione. Che a Locri e a Palmi mancano sei magistrati ciascuno, oltre le maternità. Veda, nel distretto abbiamo 227 procedimenti di competenza della Dda, di cui 55 sono maxi processi. Abbiamo portato a termine “Crimine” che è stato un grandissimo processo, con magistrati che contemporaneamente si sono occupati anche di altro. Le faccio un esempio: Milano e Torino hanno avuto i processi “Infinito” e “Minotauro” che erano costole di Crimine. Lì i colleghi hanno potuto dedicarsi esclusivamente, per tutta la durata del processo, a quelli. Pensi solo che un processo in corso a Reggio, come Gotha, ha 400 testimoni da escutere e 10mila intercettazioni. Ebbene, i magistrati che se ne occupano, stanno celebrando anche altri procedimenti.
Il procuratore nazionale antimafia Cafiero de Raho disse che a Reggio aveva timore anche a giocare a tennis per paura di incrociare persone poco raccomandabili, vista la fitta rete relazionale esistente ad alti livelli. Lei è reggino, è d’accordo con questa affermazione?
Sono convinto che dobbiamo certo stare attenti alle relazioni che intrecciamo. Il male è unitario, la ‘ndrangheta è un’organizzazione unica, come certificato da più sentenze. Ma dall’altra parte c’è una società civile industriosa e impegnata nel sociale. Se noi troncassimo il rapporto con la società civile, affermeremmo una inesistente diversità e troncheremmo quelle iniziative di recupero della società essenziali al miglioramento della qualità della vita. Io credo che lo stesso Cafiero fosse consapevole di questo, perché egli stesso, andando nelle scuole, dimostrava che quella sua espressione è stata equivocata e portata ad estreme conseguenze.
Tre gennaio 2010. Sono trascorsi nove anni da quella domenica notte in cui scoppiò la bomba davanti alla procura generale. Com’è cambiata la città d’allora? Possiamo dire che ci fu un risveglio delle coscienze?
Guardi, io lo ricordo benissimo lei lo sa ci siamo incrociati quel giorno. Il 3 gennaio 2010 scoppia questa bomba. Io esco - all’epoca ero presidente del Tribunale - per vedere la situazione e trovo davanti alla procura generale una fortissima mobilitazione di cittadini proprio organizzata da quella che sorgeva come ReggioNonTace. Era una cosa assolutamente anomala e nuova per la città. Significava che c’era una coscienza civile che non conoscevamo così forte, che si mobilitava immediatamente. Dava il segnale forte di una volontà di riscatto. Mi consenta di dire che storicamente la Calabria è stata l’ultima provincia dell’impero. Non è mai stata artefice della propria storia ed ha pagato tutto questo. C’è una diffidenza atavica rispetto allo Stato che viene visto come altro da sé. La pancia della città purtroppo era anch’essa diffidente. Adesso, non ha forse messo la maglietta dello Stato e non scende sempre in campo ma è salita l’attenzione verso questi fenomeni ed il nostro lavoro è riconosciuto ed apprezzato.
Pochi giorni fa ci ha lasciati il procuratore della Repubblica di Vibo Valentia, Bruno Giordano. Per lei era qualcosa più di un collega. Possiamo dire ai calabresi chi era davvero il procuratore Giordano?
Questo mi commuove, non può non commuovermi. Mi porta su un terreno personale dove ho non poca difficoltà a parlare. Bruno è stato mio compagno di banco dal quarto ginnasio al terzo liceo classico. Abbiamo fatto l’università insieme, davamo le materie negli stessi giorni, ci siamo laureati nello stesso giorno, abbiamo fatto il concorso in magistratura insieme e lo abbiamo vinto. Abbiamo diviso assieme la nostra vita, gli eventi giornalieri, i momenti liberi, le telefonate come si faceva allora; si giocava e si dividevano i momenti di impegno, di difficoltà, di dolore. Per me è stato un fratello. Però alla gente deve interessare altro.
Cosa?
Che Bruno Giordano è stato un magistrato colto, onesto, che ha fatto sempre fino in fondo la propria parte senza preoccupazione di alcun genere se non quella di affermare la giustizia, un uomo sempre estremamente corretto. È uno di quei magistrati reggini, nemo propheta in patria, che ha fatto fino in fondo la propria parte dovunque sia andato e l’ha fatto onorando la toga. Ho detto ai suoi familiari di essere orgogliosi ed onorati di quello che è stato il loro padre.
Anche quest’anno l’inaugurazione dell’anno giudiziario si farà alla scuola allievi carabinieri. Palazzo di Giustizia fermo, scoperture d’organico. Però a Reggio c’è da qualche tempo una piccola rivoluzione.
Sì, il Csm ha invitato tutti i presidenti di Corte d’Appello a portare all’inaugurazione dell’anno giudiziario scuole e società civile. Noi lo facciamo già da tempo. Anzi, facciamo di più. Ossia una pre inaugurazione il venerdì e poi quella ufficiale il giorno successivo. Questa è una terra difficile e complicata. Bisogna dare voce a tutti e soprattutto noi rendiamo un servizio alla collettività. Io credo che chiunque eserciti pubblico potere deve rendere conto e confrontarsi attraverso bilanci che non possiamo tracciare solo noi. Un bilancio che non può essere solo numerico, ma qualitativo. Da sette anni, da quando ero alla presidenza del Tribunale, è partito il progetto Civitas che ha il medesimo obiettivo e che continua nelle scuole e nel volontariato sociale. Stiamo allargando la riflessione sulle tematiche della legalità e dei diritti di tutti. Lei vede l’immagine del presidente della Repubblica alle mie spalle.
Sì, Mattarella negli ultimi giorni è una star del web.
Ecco, il discorso del presidente è stato esemplare. Ha parlato di società civile che deve affermare i diritti di tutti e di una sicurezza che passa attraverso il miglioramento del livello di qualità della vita. Reputo queste parole fondamentali per quelli che vogliono dare il senso del servizio giustizia. Noi stiamo andando anche oltre. Ha notato che l’esterno del palazzo è stato rifatto?
Certamente.
Non lo sottovaluti. È un biglietto da visita. Fa capire che c’è cura per la giustizia. Adesso voglio rifare l’interno, abbiamo chiesto al ministero autorizzazione alla spesa per rifare le aule d’udienza e la cartellonistica. Quelle aule sono indecenti, con quelle gabbie. Lo sono perché violano la dignità del detenuto che è un uomo e, come tutti, va tutelato. Ho chiesto l’autorizzazione a sostituirle con cabine più dignitose. L’obiettivo è cambiare gli interni per dare un segnale di cura verso la giustizia.
Presidente, fra poco arriveremo all’inaugurazione dell’anno giudiziario. Quali sono i suoi prossimi obiettivi?
Vorrei che i nostri parlamentari mettessero in primo piano in Italia le problematiche che stiamo sollevando e far capire la specificità della nostra terra. Se riusciamo a far portare a livello nazionale il messaggio che la ‘ndrangheta unitaria sta invadendo il mondo e che ha a Reggio non solo l’origine storica ma anche il suo comando - questa è la risultante di procedimenti anche conclusi in Cassazione - ecco allora è naturale che la sconfitta della ‘ndrangheta deve essere una priorità assoluta. Così come non si può non tenere conto dei dati economici. Se oltre il 60% dei nostri giovani è costretto ad emigrare; se la Calabria è all’ultimo posto in Italia per povertà e al quintultimo posto in Europa, questa non può non essere una priorità. Se noi riusciamo a far passare questo messaggio e far sì che il governo centrale sia consequenziale nel mettere a disposizione le risorse necessarie, riusciremo ad incrementare la resa di giustizia facendo leva sulle professionalità che questa terra esprime ed avremo dato il nostro contributo al miglioramento della nostra Calabria.
Consolato Minniti