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“Effetto domino”: è questo il titolo della puntata della trasmissione “Commissari - Sulle tracce del male” in onda su Rai 3 andato in onda sabato in seconda serata. Rodolfo Ruperti, già capo della Squadra Mobile di Catanzaro, attualmente a Palermo, racconta ai microfoni di Giuseppe Rinaldi un pezzo di storia di ‘ndrangheta, quella stessa ‘ndrangheta che ha avvelenato il territorio d Lamezia Terme, quella stessa ‘ndrangheta duramente colpita da una serie di operazioni antimafia.
Proprio a seguito di un'importante operazione sulle estorsioni nel territorio lametino, viene arrestato quello che è considerato il reggente della cosca egemone a Lamezia e alcuni degli appartenenti alla 'ndrina. Uno di questi si pente svelando alcuni dei segreti della cosca scatenando in poco tempo un inaspettato effetto domino tra gli arrestati che decidono di collaborare con la giustizia.
Si parte dal 2011. Due omicidi a distanza di un mese. Viene ucciso prima Vincenzo Torcasio. Nel giorno del suo trigesimo in pieno centro il figlio: «Era mattanza – afferma Ruperti - Sapevano che la mano era della cosca Giampà e soprattutto che il reggente era Giuseppe Giampà». Ma chi è Giuseppe Giampà? È il figlio il un padrino, Francesco Giampà, detto “il professore” e detenuto da oltre vent’anni. È lui ritenuto il mandante dell’omicidio del giudice Aversa e della moglie avvenuto anni prima a Lamezia.
Il "pentitismo"
Giuseppe Giampà viene arrestato per estorsione nell'operazione “Deja vu” insieme a tre dei suoi sodali, tra cui Angelo Torcasio alias “Porchetta”. È lui che è l'esattore del clan, si occupa della detenzione e del trasporto di armi della cosca. Ha un ruolo chiave anche nella pianificazione degli omicidi. È lui il primo a decidere di collaborare con la giustizia. È questo un passaggio chiave. «Parla del ruolo di Giuseppe Giampà – ricorda Ruperti - e fa l'organigramma dell'intera organizzazione». Si pente anche un altro fedelissimo di Giuseppe Giampà, Battista Cosentino, poi è la volta di Rosario e Saverio Cappello, padre e figlio. Confessano omicidi, fanno nomi, svelano dettagli. Il cerchio inizia a chiudersi come in un effetto domino.
L'operazione "Medusa"
Scatta l’operazione “Medusa” nel giugno del 2012. È la prima vera operazione che disarticola il clan Giampà dall’interno, partendo dal vertice, ai colonnelli, fino ai sodali. In carcere finiscono anche le donne del clan. «Si tratta del primo intervento massiccio che riguardava l'organizzazione criminale» - commenta Giuseppe Borelli, all’epoca procuratore aggiunto della Dda di Catanzaro.
Si pente il capo cosca
La 'ndrina dei Giampà viene duramente colpita. Giuseppe Giampà rimane in silenzio nella sua cella, ma è un silenzio destinato a durare poco. Si pente anche lui. È una vittoria per la giustizia. «Il complesso delle attività investigative - continua Borrello- e i pentiti fanno comprendere a Giampà che ormai la sua carriera criminale e il suo clan sono finiti. Collabora così a 360°, ricostruisce omicidi, si autoaccusa, inizia ad indicare come suoi associati soggetti appartenenti ad ogni categoria, conosciuti e non. Il suo modo di gestire il clan è paranoico, la sola possibilità che qualcuno possa creare pericolo giustifica la sua condanna a morte».
Lui ordinava, gli altri uccidevano. Cita anche il suo killer di fiducia, Francesco Vasile, arrestato poi a Novara. Un insospettabile, “uno che faceva granite”. Lui sparò padre e figlio nel 2011. Viene arrestato. Diventerà collaboratore anche lui. Giuseppe Giampà confida a Ruperti che una famiglia del crotonese si era resa disponibile addirittura ad organizzare un attentato contro la sua persona.
Dopo “Medusa” seguirono le operazioni “Perseo” e poi “Andromeda”. «Le indagini di mafia non si concludono mai - conclude Ruperti - ma il ritorno delle attività investigative è stata la fiducia da parte delle persone che hanno preso pian piano di nuovo coraggio».
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