Le richieste di denaro: «Ci vuole un pensiero da parte vostra». Il vanto di appartenere alla famiglia Ciampà-Dragone e il desiderio di riportare la cosca ai vecchi fasti. I dettagli dell’inchiesta della Dda di Catanzaro
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Estirpare da Cutro la malapianta della ‘ndrangheta non è facile. Il locale di Cutro è una struttura tenace e radicata. Dopo i colpi inferti dalla Dda di Catanzaro alla cosca Grande Aracri e alle consorterie satelliti dei Mannolo-Falcone-Zofreo, una nuova operazione delle Squadre Mobili di Catanzaro e Crotone, questa mattina, ha condotto in carcere cinque esponenti del gruppo Ciampà-Martino. Soggetti già noti alle forze dell’ordine e tornati alla carica nonostante qualcuno fosse appena uscito di galera.
Si tratta di Giuseppe Ciampà, 41 anni; Salvatore Ciampà, 36 anni; Francesco Martino, 26 anni; Salvatore Martino, 31 anni; Carmine Muto, 38 anni.
Sono accusati di due ipotesi di estorsione e di due tentate estorsioni, tutte aggravate dal metodo mafioso.
Sono quattro le imprese individuate quali vittime delle richieste di denaro da parte del gruppo. In due casi hanno sporto denuncia. In altri casi sono stati reticenti e un imprenditore, «seppure vittima di estorsione e di danneggiamenti, in sede di sommarie informazioni forniva dichiarazioni false e reticenti recandosi poi verosimilmente da Giuseppe Ciampà a riferire il contenuto delle sue dichiarazioni».
I fatti sono recentissimi, avvenuti tra agosto 2023 e gennaio 2024.
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Un “pensiero” per mantenere i familiari detenuti
Chiamavano le vittime intimandogli di lasciare i cellulari e di parlare in disparte. Poi cominciavano a profferire minacce ed intimidazioni rafforzate dall’appartenenza ad una cosca di ‘ndrangheta, referenti del locale di Cutro. Chiedevano un “pensiero” per mantenere i familiari detenuti.
Per coronare il tutto minacciavano, in caso di rifiuto, di arrecare danni a cose e persone. Chiedevano cifre periodiche, in denaro contante, in cambio di protezione. Ad agosto scorso si sono fatti consegnare 1.200 euro. A dicembre l’arroganza mafiosa gli ha garantito un gruzzoletto di circa 2000 euro racimolati, minaccia dopo minaccia, in rate da 300/400 euro.
Così campava il manipolo di galantuomini finiti oggi in manette.
La richiesta: «Ci vuole un pensiero da parte vostra»
Le indagini partono dalla denuncia di un ristoratore di Cutro, a settembre scorso. L’uomo, benché intimorito, ha denunciato di essere stato avvicinato da tre soggetti che gli investigatori identificano in Giuseppe Ciampà, Salvatore Ciampà e Carmine Muto.
«… tutte le attività commerciali sono disposte a darci qualcosa, quindi pure voi, siccome sono uscito dal carcere, voi sapete la mia situazione, ci vuole il pensiero da parte vostra», avrebbero intimato. E benché l’imprenditore avesse fatto presente che l’attività si reggeva a stento, Giuseppe Ciampà aveva insistito: «Voi fate i cocktail, almeno due volte l’anno, d’estate e a Natale qualcosa la dovete dare»
I tre hanno tutti numerosi precedenti penali.
Le indagini che scattano immediate fanno emergere il fatto che i cugini Ciampà stavano pressando il titolare di una ditta di costruzioni. Gli avevano fatto diverse «richieste di denaro arrivando finanche ad aspettarlo sotto casa», appurano i magistrati della Dda Paolo Sirleo e Domenico Guarascio.
Dinastie mafiose
In particolare, Giuseppe Ciampà, un po’ il capo del gruppo, sottolineava il proprio pedigree mafioso: l’appartenenza alla famiglia mafiosa Cimpà-Dragone, il fatto di essere il nipote del boss Antonio Dragone, ucciso in un agguato di mafia, un nome, quest’ultimo, che evoca tempi antichi di faide e sangue. Anche il padre, Gaetano Ciampà, era stato ucciso nel corso di un agguato.
Ma per Giuseppe Ciampà questa appartenenza è un vanto: era solito esordire dicendo di essere da poco uscito di galera oltre a rappresentare l’imminente uscita dal carcere del fratello insieme al quale avrebbe riportati ai vecchi lustri la compagine Ciampà-Dragone. Inoltre parlava di possedere delle armi e di essere disposto a cederle a terzi.
Ma le dinastie, in questa vicenda, sono più di una. Ci sono anche i fratelli Francesco e Salvatore Martino, figli di Vito Martino, luogotenente del boss Nicolino Grande Aracri, condannato per omicidio.
La paura di un imprenditore: «Mi devo mettere da parte 100mila euro e me ne vado»
Se il ristoratore ha denunciato subito, un altro imprenditore ha avuto paura di ritorsioni e si è mostrato reticente. Poi, poco dopo essere stato sentito dalla polizia, parlando con il suo socio si è sfogato. Ha sfogato la paura dell’imminente rilascio del fratello di Giuseppe Ciampà e ha manifestato lo schifo per quelle vessazioni: «Io mi devo mettere da parte 100mila euro, devo mettere da parte 100mila euro e me ne vado… Ma me ne vado, c'è proprio… Non ci voglio rimanere più qua io… Che cazzo devo fare qua? Ma stiamo scherzando? Poi vedi come si trovano tutti insieme, no?»
«Eh ma un altro anno, tra un altro anno ancora peggio è – gli fa eco il socio – Che ora esce quell'altro broccolo teso là… Il fratello di quello là di "Scarazze", Da Aemilia (processo contro le cosche cutresi in Emilia Romagna, ndr) ne escono.. E tutti qua li mandano… Tutti qua si raccolgono, è assodato…».