Aveva solo 7 anni quando fu ucciso da un colpo di pistola tra gli svincoli di Serre e Mileto. Un delitto atroce che aprì alla cultura della donazione degli organi in Italia. Ma quello del bimbo statunitense è anche un caso giudiziario tra i più complessi
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32 anni. È questa l’età che avrebbe avuto oggi. Somigliava tanto alla sua mamma, gli stessi occhi, la stessa dolcezza. Forse oggi sarebbe stato sposato, avrebbe avuto dei bambini. O forse ancora no, sarebbe stato un brillante giovane in carriera. Non lo sapremo mai.
Non lo sapranno mai Reginald e Margaret Green che probabilmente tutti i giorni pensano a come sarebbe stato oggi il loro bambino. Quel bambino che un destino maledetto gli ha portato via nella maniera più efferata e crudele.
Nicholas aveva solo sette anni. È il 29 settembre del 1994 quando, sull'autostrada Salerno-Reggio Calabria, tra gli svincoli di Serre e Mileto, l'automobile su cui viaggi insieme ai genitori, in vacanza in Italia, viene trivellata da proiettili.
Dalla tragedia alla speranza
A essere colpito, tragicamente, è Nicholas: ricoverato d'urgenza al centro neurochirurgico del Policlinico di Messina, muore il primo ottobre dopo due giorni di agonia. I genitori, nonostante lo strazio, fanno una scelta rara in quegli anni in Italia: decidono di donare gli organi del figlio. Dall’abisso del lutto, i coniugi Green riescono a recuperare la forza di dare un valore a una perdita atroce quanto assurda. Cuore, fegato, pancreas, i reni e le cornee: organi che hanno salvato la vita a cinque persone (quattro adolescenti e un adulto) e ridato la vista ad altre due.
La notizia fa il giro del mondo: migliaia le lettere, le attestazioni di stima e i messaggi che la famiglia Green riceve. L'episodio ispirò film, libri e centinaia di articoli di giornale, sensibilizzando ad un gesto di generosità all'epoca ancora raro, la donazione degli organi diffondendone di fatto la cultura.
Un caso giudiziario
L’atroce delitto del piccolo Nicholas è però anche un caso giudiziario. Come abbiamo già evidenziato con un articolo di Pietro Comito, per la morte del bambino di sette anni i due assassini - Iannello e Mesiano - assolti con formula piena in primo grado, furono condannati dalla Corte d’assise d’appello di Catanzaro proclamarono sempre innocenti, ma la sentenza d’appello fu solidissima e il 13 aprile del 1999 divenne definitiva dopo il vaglio della Cassazione. Iannello e Mesiano tentarono di ottenere una revisione, ma vanamente. Iannello, collaboratore di giustizia che ha confessato una miriade di fatti di sangue ma non il delitto Green, ventilò sin dall’avvio della sua detenzione l’ipotesi di uno scambio di persona: sarebbe stato suo fratello a sparare, non lui. Il pentito, credibile su tutto ma non sul delitto più infame imputatogli nel corso della sua carriera criminale, rimase incastrato nelle incongruenze e contraddizioni del suo racconto.
Ma la sentenza non ha mai sciolto un dubbio, se oggi vi sia o meno un terzo assassino di Nicholas che non abbia mai pagato. Eppure, un nome, sul taccuino degli inquirenti c’era. Le indagini, incassato l’arresto di Iannello e Mesiano, su di essi però si fermarono e non svilupparono la pista del terzo e, addirittura, del possibile quarto uomo.