Nelle dichiarazioni del nuovo collaboratore di giustizia Pasquale Megna depositate nel maxiprocesso Rinascita Scott c’è anche un capitolo sulla latitanza del boss di Rosarno, Marcello Pesce, rifugiatosi a Nicotera Marina. Le dichiarazioni delineano i rapporti fra i clan e reciproci sostegni.

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Per quanto riguarda la latitanza di Marcello Pesce – ha spiegato il collaboratore – mi riferisco al periodo fine 2015 inizio 2016. Marcello venne arrestato a Rosarno il 12 gennaio 2016 o il primo gennaio 2016. Era latitante dopo aver riportato una condanna a 16 anni, per un procedimento dove lo accusava la cugina Giuseppina Pesce. Marcello è stato aiutato da me durante la sua latitanza: mi diceva che aveva preso questa condanna per via della cugina che lo accusava di aver messo pace in una guerra di ‘ndrangheta in atto a Rosarno. Non mi disse nulla di specifico se non che si era preso una condanna a 16 anni per aver messo pace e mi diceva che in effetti aveva messo pace. Posso dire che Marcello Pesce non era come quelli della mia zona: era un uomo intelligente a cui non piaceva parlare di questioni di ‘ndrangheta. Ad ogni modo fu portato da me nel mio terreno di campagna, in contrada Timpa, da Pasquale Gallone, detto Pizzichiju. Me l’ha detto mio padre, Assunto Megna, che era stato Pasquale Gallone a portarlo lì da noi perché c’era mio padre presente quando lo portarono sul posto, io arrivai subito dopo. A dire il vero – ha specificato Pasquale Megna – Marcello Pesce si nascondeva a Nicotera Marina già da una settimana, dieci giorni, ma mi disse che non si era trovato bene nelle case in cui era andato». Continua a leggere su IlVibonese.it