Il provvedimento di sequestro emesso ieri era stato già eseguito a luglio del 2023 per essere bocciato un mese dopo dal Tribunale del Riesame, ora l'arma in più per gli inquirenti è una sentenza della Cassazione
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Basta l'approvazione o è necessaria l'omologazione, questo è il dilemma. È su una querelle così, anche lessicale, che si mantiene in bilico l’inchiesta della Procura di Cosenza che, nelle scorse ore, ha portato al sequestro dei dispositivi per la rilevazione della velocità sparsi, da Nord a Sud, in tredici località italiane.
Frode in pubblica fornitura è il reato che si ipotizza a carico di sei persone, legali rappresentanti di tre società - fra cui una con sede a Rende - che, a partire dal 2021, hanno fornito ai Comuni un determinato tipo di autovelox, il cosiddetto T-Exspeed v.2.0. Il punto in contestazione è che nei contratti stipulati con gli enti locali, i sei garantivano di fornire apparecchi omologati, laddove invece, secondo la polizia stradale, quei dispositivi erano stati solo approvati.
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Tra le due procedure, una differenza c'è. L'approvazione è un passaggio amministrativo e serve a verificare che l'autovelox funzioni correttamente; con l'omologazione, invece, si compara l'autovelox che si intende commercializzare con il prototipo dello stesso, in precedenza depositato presso il ministero dello Sviluppo economico. E una volta verificata la corrispondenza tra i due dispositivi, si può procedere alla produzione in serie del modello. Nel caso del T-exspeed, si ritiene che, da parte delle ditte in questione, il prototipo non fosse stato mai presentato. Tutto chiaro, insomma, ma solo in apparenza.
Il provvedimento eseguito ieri, infatti, ha avuto grande eco anche sui media nazionali, ma in pochi si sono accorti che l'inchiesta in questione è vecchia di un anno e, a luglio del 2023, aveva fatto registrare un sequestro analogo. All'epoca, sotto indagine c'è solo la società cosentina LabConsulenze di Marco Coscarella, ma i sospetti, che in quei giorni si concentrano esclusivamente sugli autovelox in uso ai Comuni di San Fili, Rovito e Luzzi, si sgretolano solo un mese più tardi sotto i colpi del Tribunale del Riesame.
In quella sede, infatti, il difensore di Coscarella, l'avvocato Enzo Belvedere, evidenzia come, allo stato attuale, in Italia, non esistano rilevatori di velocità omologati, ma solo cosiddetti «approvati». E' la prima picconata, la seconda arriva dal Codice della strada che parla di «omologazione o approvazione», una forma disgiuntiva che genera ambiguità e, nel tempo, dà luogo a dispute, ancora irrisolte, tra chi considera i due termini in netta antitesi e chi, invece, li ritiene sinonimi. In aula prevale quest'ultima tesi, anche perché nel 2020, il ministero dei Trasporti si era inserito nella diatriba, affermando in sostanza che tra omologazione e approvazione vi fosse «equivalenza giuridica».
Quel giorno, tutti i richiami dei difensori colgono nel segno. Anche perché dalla documentazione da loro prodotta, emerge che la storia della mancata presentazione del prototipo non sia del tutto vera. Solo una delle due componenti del T-exspeed non era stata oggetto di comparazione e, stando ad alcuni precedenti giurisprudenziali, si trattava di una procedura più che legittima. Insomma, è sulla scorta di queste considerazioni che, a settembre del 2023, i giudici del Riesame reale dissequestrano gli autovelox di Coscarelli, riconoscendo che, nei suoi confronti, il reato ipotizzato non è configurabile «neanche in astratto».
Cos'è cambiato rispetto a un anno fa, tanto da spingere la Procura a riproporre la questione negli stessi termini, ampliando addirittura i confini dell'inchiesta? Da allora, infatti, gli indagati sono diventati sei perché a Coscarella si sono aggiunti i rappresentanti della società ligure Sicursat srl (Davide Luvini e Alessandro Mavellia), della Sarida srl (Riccardo Sambuceti) e della Kria (Enzo D'Antona) Una sentenza, in particolare, è ritenuta la chiave di volta della faccenda. L'ha pronunciata lo scorso aprile una sezione civile della Cassazione su ricorso di un cittadino di Treviso che si opponeva a una contravvenzione per eccesso di velocità rilevata da un autovelox non omologato. Nel dare ragione all'automobilista, la Suprema Corte opera l'ennesima distinzione tra omologazione e approvazione, riconoscendo legittimità solo alle multe da apparecchi omologati. Uno a uno e palla al centro.
E' lo stesso film andato in onda un anno fa, insomma, con una sola modifica al registro narrativo proposto in origine dagli investigatori. A luglio del 2023, infatti, quest'ultimi adombravano, nella vicenda degli autovelox irregolari, un coinvolgimento degli Enti locali interessati a fare cassa con raffiche di multe ai danni dei poveri contribuenti. «Perché allora non sono indagati pure i rappresentanti dei Comuni?», l'obiezione posta dal Riesame evidenziava i limiti di un ragionamento che il tempo - e ragioni di opportunità - hanno poi modificato: nella nuova narrazione, i Comuni non sono più potenziali complici, ma vittime della frode, condannati ad accumulare crediti - le multe da autovelox - che non potranno mai riscuotere.
Per il resto, è tutto come prima, con analogie che interessano anche il calendario. Il precedente sequestro, pure quello eseguito alla vigilia della pausa agostana, aveva fatto sollevare Enzo Belvedere che, nella tempistica adottata per l'occasione, intravedeva un modo per procrastinare il più possibile i tempi di revisione del provvedimento. Anche stavolta se ne riparlerà a settembre e l'impressione è che, a essere determinante, proprio come un anno fa, non sarà l'applicazione della legge, bensì la sua interpretazione. Un classico caso in cui i giudici saranno chiamati a decidere in punta di diritto. E di vocabolario.