È un quadro inquietante quello che emerge dalle carte dell'inchiesta che ha svelato le violenze su una ragazza di 18 anni. Un incubo che si è materializzato nella Piana di Gioia Tauro, scoperto dagli inquirenti quasi per caso e confermato dalla vittima, che ha denunciato tutto. Storia tremenda che nasce e si alimenta in un ambiente caratterizzato da un'asfissiante presenza della 'ndrangheta. È l’humus in cui il branco è cresciuto e ha operato. Nel primo troncone dell’inchiesta “Masnada” (quindici indagati per le violenze nei confronti di due ragazze) i pm hanno sottolineato «il contesto territoriale e ambientale di riferimento» e aggiunto che «non può non considerarsi l'elevatissimo spessore criminale delle famiglie di appartenenza». Secondo la Procura, infatti, c'era il «rischio» che i rampolli dei clan coinvolti nell'inchiesta «possano esercitare una fortissima coazione sulla vittima e sui suoi familiari affinché non depongano o dicano il falso, onde difendersi dagli addebiti a loro contestati».

Invece di difenderla e tutelare, il fratello e la sorella della vittima avrebbero tentato di persuaderla a ritrattare quanto dichiarato alla polizia e ai magistrati della Procura di Palmi. E, per fare questo, avrebbero perfino cercato di spingerla a togliersi la vita e a costringerla a farsi sottoporre ad una visita psichiatrica per ottenere un certificato che ne attestasse l'incapacità di intendere e di volere in modo da rendere inutilizzabili le sue dichiarazioni.

«Se parli ammazzo tuo padre e tua madre»

Il suo racconto è terribile. «Sono stata vittima, in maniera cruenta, di una violenza sessuale di gruppo nell’estate del 2017, quando ero ancora minorenne». E poi le minacce subite anche da sua madre e da due dei suoi quattro fratelli. La famiglia spaccata dall’opposto atteggiamento degli altri due fratelli. La ragazza, però, non ci ripensa e non fa sconti a nessuno. «Dopo la mia denuncia – racconta al commissariato di polizia di Palmi – il mio ragazzo mi ha lasciata e, per di più, per diffamarmi, ha iniziato a raccontare quello che mi era accaduto a tutto il paese». Il peggio, però, accade tra le mura domestiche. «I miei fratelli - dice ancora la vittima, secondo quanto riporta il Corriere della Sera - oltre a prendere le distanze da me e da mia madre, per indurmi a ritrattare hanno cercato d’impedirmi di entrare in contatto telefonico con le persone a me care, tra le quali un altro mio fratello, un’altra mia sorella, oltre che amici e conoscenti, tra cui un poliziotto».

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Le minacce sono pesanti («Se riferisci qualcosa di quanto accaduto a qualcuno, ammazzo tuo padre e tua madre») così come la gogna virtuale: «Sono stata contattata tramite social dagli amici dei miei violentatori i quali intendevano approfittare della mia fragilità psicologica per compiere altri abusi».

La testimonianza di sua madre è altrettanto drammatica: «Mia figlia e mio genero mi hanno offeso e umiliato chiamando me e mia figlia con espressioni offensive. Ci hanno invitato a buttarci dalla finestra in quanto non abbiamo accettato la loro proposta di far sottoporre mia figlia (la denunciante, ndr), a visita medica per farla dichiarare pazza». «Ha paura di ritorsioni?», domanda il magistrato. «In questo momento – è sempre la sintesi dal Corriere della Sera – non ho paura perché so che i responsabili della violenza nei confronti di mia figlia sono in carcere. Non escludo, però, che possano porre in essere qualche azione ritorsiva, nei nostri confronti, una volta tornati in libertà».