Un fiocco azzurro affisso al portone, un altro sulla porta di casa. E poi confetti, palloncini, l’immancabile torta; tutto il necessaire per brindare alla vita. E salutare l’arrivo di un nuovo membro della famiglia. Una festa, quella organizzata dai parenti di Rosa Vespa, che si è trasformata subito in incubo. «Durante la serata seguivano in internet le notizie del rapimento. E, come tutti, erano preoccupati per la sorte di quella bambina». Ignoravano, però, di averla davanti ai loro occhi, vestita da maschietto.
Gianluca Presti, il capo della Squadra mobile che ha sovrinteso alle indagini sul rapimento della piccola Sofia, apre una finestra sul dramma nel dramma che si è consumato nella notte più lunga di Cosenza: quello dei familiari della rapitrice, anche loro all’oscuro dell’inganno ordito dalla loro congiunta.
A tal proposito, le indagini dovranno chiarire il grado di coinvolgimento nella vicenda di Aqua Moses, il marito di Rosa. Era pure lui ignaro di quella spaventosa messinscena? Possibilista, in tal senso, è sembrato uno dei poliziotti che hanno fatto irruzione nell’abitazione di Castrolibero; più netto, invece, si è mostrato Presti: «Vale per tutti la presunzione d’innocenza. Di certo c’è che lui è lì nel momento decisivo, quando si tratta di portare via la bimba dalla clinica».

Sarà il tema delle indagini, o almeno uno dei temi, ma per il momento, la conferenza stampa convocata oggi in questura, aveva ben altra finalità: celebrare un lieto fine. Gianluca Presti ha ripercorso un po’ tutte le tappe della vicenda. dalla segnalazione del rapimento all’avvio delle ricerche, partite con un handicap: «Non ci trovavamo davanti a un rapimento cruento, questo ha comportato ritardi e quindi un vantaggio concesso ai rapitori».
Al resto, però, hanno pensato gli impianti di videosorveglianza e il tam tam partito sui social network che hanno consentito di giungere in poco tempo all’identificazione della coppia. «Rapidità» è la parola d’ordine da associare a questa vicenda secondo Presti che, con l’occasione, ha lodato i propri uomini e tutti i reparti – Volante, polizia postale – che si sono lanciati all’inseguimento dei fuggitivi.

Gli ha fatto eco Franco Cassano, vicedirigente dell’Upgsp, che ha ricordato come «anche i poliziotti liberi dal servizio abbiano deciso di rientrare per partecipare alle ricerche». Resta da capire ora cosa abbia spinto Rosa Vespa verso il suo personale punto di non ritorno.
È una donna che per mesi si è portata dentro un mondo spaventoso, ha coltivato un’euforia costruita sulla menzogna. Una donna mite, perfettamente inserita insieme a suo marito nel tessuto sociale cosentino. Gente umile ma dignitosa, che sbarca il lunario facendo tre o quattro lavori. Nulla lasciava presagire che dentro di sé avesse questa grande tristezza sfociata poi in follia.

È l’ombra più sinistra che fa da sfondo a questa storia, il sospetto che possa accadere ancora, che possa accadere a chiunque, e che pertanto suscita inquietudine. Forse anche per questo, in apertura di lavori, il questore Giuseppe Cannizzaro ha sentito il dovere di rassicurare tutti: «Percepisco in città una sensazione di insicurezza che non è assolutamente giustificata. Siamo davanti a un evento eccezionale e, si spera, irripetibile. A Cosenza non ci sono ladri di bambini». Evento irripetibile, da catalogare alla voce “banalità del male”. Stavolta, un po’ meno banale del solito. E che per questo, fa ancora più paura.