Il 43enne secondo gli investigatori avrebbe ereditato il ruolo di capo dell'organizzazione dal padre Pepè, morto a gennaio, gestita grazie al suo carisma e alla violenza: «Lui piccolino (di statura) però picchia di brutto»
Tutti gli articoli di Cronaca
PHOTO
È un duro Davide Flachi, uno che non ha paura a minacciare chi si oppone ai suoi interessi e a menare le mani quando serve. Il 43enne considerato il boss della Comasina, quatiere nord di Milano, così è descritto dagli inquirenti, anche grazie a una serie di intercettazioni che sono confluite nell’inchiesta che ha portato, questa mattina, a un fermo nei confronti di 13 persone accusate di associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga, armi e una sfilza di altri reati.
Secondo gli inquirenti, Davide Flachi, figlio dell’ex boss della ‘ndrangheta milanese Pepè, è il vertice che gestiva l’organizzazione ereditata dal padre, grazie al suo carisma e al timore che incute negli altri.
«Il gigante è messo bene ha delle belle amicizie... è uno che si fa valere... già ai tempi lo avevano arrestato perché era con suo padre (Pepè), gli hanno dato l'associazione perché prendevano le tangenti in tutta Milano. Lui piccolino (di statura) però picchia di brutto (...) e poi essendo il figlio di eh, la gente aveva paura». A descrivere Davide Flachi mostrando di essere ben informato sulla sua caratura criminale è Antonino Chirico, uno dei 13 fermati assieme allo stesso figlio del boss della Comasina.
L'intercettazione ambientale, all'interno di un'auto, in cui Chirico parla della presunta scalata criminale di Davide Flachi risale al luglio dell'anno scorso ed è riportata negli atti dell'indagine coordinata dai pm milanesi Gianluca Prisco e Francesco De Tommasi e dal collega di Pavia Andrea Zanoncelli.
Emblematica del riconoscimento del ruolo «decisorio» rivestito dal figlio del boss scomparso lo scorso gennaio è la definizione «il gigante». Sintomatica della posizione di vertice di Davide Flachi sarebbe anche una conversazione del novembre 2020 in cui sempre Chirico afferma che «prima lo rispettavano per il padre ora per lui stesso».
«È già tanto che entri ancora in Comasina ad abitare, hai capito? (...) ti piglio la testa e te la faccio volare pezzo di me... (...) metti le mani in tasca e pensi di farmi il lavoro a me. Io il lavoro lo faccio io a te e a tutta la tua settima generazione (...) vattene a lavorare e chiudi tutti i discorsi, tutti!». Con questi toni minacciosi Davide Flachi si sarebbe rivolto a Davide Volpe, 33 anni, e anche lui tra i 13 fermati nell'inchiesta milanese con al centro traffici di droga, detenzione di armi ed estorsioni con azioni intimidatorie.
Nel decreto di fermo a Flachi vengono contestati diversi reati, tra cui il traffico di droga, e con l'aggravante del metodo mafioso (non ha in questa indagine la contestazione di associazione mafiosa, per cui è stato già condannato in passato).
Di lui, come emerge da un’intercettazione del 2020, Antonino Chirico, un altro dei fermati, dice: «Quando uno è potente così la gente non esce di casa, ha paura ... ma non di lui del gruppo ... del nostro gruppo».
Flachi, sulle orme del padre, come scrivono i pm, «è ben consapevole che è lui che comanda a Comasina». Il confronto con Volpe, come risulta da un'intercettazione captata nella carrozzeria di Cormano (sequestrata dalla Gdf), era terminato con un pestaggio da parte del presunto boss. «Ti brucio insieme a tutta la palazzina che hai qua dentro», è un'altra delle frasi intimidatorie pronunciate da Flachi che puntava ad acquistare un terreno, come si legge negli atti della procura.
Nel fermo emesso dalla procura si chiariscono anche i contorni della relazione tra Flachi e l’ex pugile Terlizzi, fino nell’inchiesta e accusato di essere il prestanome del presunto boss della Comasina
«Se tu sei in piedi è grazie a me ma lo vuoi capire (...) qua se non ci sono io la baracca qua chiude (...) ti ho portato due lavori che ti faccio stare in piedi solo con quei due lavori». Con questi toni Flachi si rivolgeva, intercettato.
«Tu non fai un caz.. e prendi il grano ma ti rendi conto Franco?», gli diceva Flachi. E lui: «Io non faccio, perché tu che stai facendo? Tu devi dire grazie a me». Flachi: «Se tu sei in piedi è grazie a me ma lo vuoi capire». E l'ex pugile: «Coi sinistri guadagniamo (...) 70mila euro ce lo siamo portati a casa».
Terlizzi, a cui il presunto boss avrebbe intestato la sua carrozzeria, assieme a Flachi ed altri è accusato di aver messo a segno una serie di frodi sulle assicurazioni sugli incidenti d'auto. Terlizzi, scrivono i pm nelle oltre 400 pagine del decreto di fermo, avrebbe percepito «lo stipendio in qualità di amministratore» della carrozzeria. I pm Prisco, De Tommasi e Zanoncelli tra le esigenze cautelari per il fermo, eseguito dalla Gdf, segnalano i rapporti del gruppo «con appartenenti alle forze dell'ordine infedeli». Gli indagati hanno, infatti, «la possibilità di procurarsi continue informazioni sullo stato dell'indagine» e «in tale contesto si inserisce» anche la figura di «un ispettore in servizio alla Dia di Milano che ha fornito diverse informazioni».
Il riconoscimento dell'«elevata caratura» di Davide Flachi, come ricostruisce il decreto di fermo, deriva dalla storica alleanza tra Franco Coco Trovato ‘ndranghetista del lecchese e Giuseppe Flachi, che risale all'estate del 1986 e dura fino agli anni '90.
Le due famiglie si erano spartite il territorio ai fini delle loro attività illecite, ossia il traffico di stupefacenti e armi e per commettere estorsioni. Il teatro di riferimento è la Comasina, terreno dei Flachi e dove gli indagati si muovono.
Negli anni della sua carcerazione, Pepè Flachi, ricostruiscono i pm, continuava a dirigere l'organizzazione, anche attraverso i colloqui con il figlio, al quale avrebbe affidato «precisi compiti (...) quale collettore con gli esponenti degli altri gruppi criminali». Da allora avrebbe cominciato a «prendere forma la figura criminale» di Davide Flachi.