Antonio Rosario Trimboli è nato a Locri 42 anni fa. Residente a Cologno Monzese, è noto alla Dda di Milano non solo per i suoi precedenti di polizia (furto, danneggiamento, lesioni personali, stupefacenti) ma soprattutto «per la sua correlazione a contesti di ‘ndrangheta» come la cosca dei Barbaro. Trimboli è, infatti, sposato con la figlia di Frank tre dita, al secolo Francesco Perre classe ‘56. Trimboli, detto anche Ghost o Malverde, è stato tratto in arresto insieme ad altre 19 persone ieri mattina in seguito a una operazione che collega le infiltrazioni della ‘ndrangheta a Milano con il traffico di droga.

Il broker imparentato con i Barbaro

Le indagini ne hanno dipinto un profilo di «abile broker nel campo del narcotraffico internazionale, ove annovera conoscenze con i maggiori rifornitori in Sudamerica e Spagna». Risulta, è scritto nei brogliacci dell’inchiesta, «collegato con gli esponenti di tutte le famiglie calabresi della Jonica presenti tra le province di Milano e Pavia, con i quali ha intrattenuto rapporti in ordine alla commercializzazione di stupefacente». Nella comunità criminale è conosciuto con i soprannomi di Ghost e Malverde (pseudonimo, quest’ultimo, che, secondo la polizia giudiziaria, rievoca il nome di Jesus Malverde, un personaggio messicano di Sinaloa, venerato come il santo patrono dei narcos).
Per Trimboli l’accusa è quella di associazione dedita al traffico di stupefacenti: cocaina, hashish e marijuana.

Gullì e i rapporti con il narcotraffico mondiale

Altro indagato eccellente in questo procedimento è Antonio Gullì, 42 anni, di Reggio Calabria, anche lui avrebbe fatto parte dell’associazione dedita al traffico di droga. Come Trimboli, anche Gullì è considerato «soggetto che vanta notevoli influenze nella rete del narcotraffico mondiale».
Implicato nell’inchiesta è Flaviano Santo, 39 anni, di Reggio Calabria, considerato ausiliario di Antonio Gullì «con mansioni di tenuta dei luoghi di occultamento di stupefacente, di varie movimentazioni di droga e di occultamento e trasporto di denaro».

Il porto di Gioia in mano alla famiglia del “mostro”

Trimboli, Gullì e Santo sono accusati, a vario titolo, di avere importato dall’Ecquador 333 chili di cocaina arrivati al porto di Gioia Tauro. Gullì, in particolare, avrebbe avuto «importanti contatti con esponenti delle famiglie di ‘ndrangheta deputate al controllo sul porto di Gioia Tauro».
«La famiglia di riferimento, attraverso un membro noto come "il mostro" – scrive il gip di Milano –, aveva deliberato la disponibilità di una propria e selezionata squadra di operai che, normalmente addetta alle attività di scarico nell’area portuale di Gioia Tauro, effettuava anche prelievo della cocaina dai container provenienti dal Sudamerica, riuscendo a eludere i controlli doganali».

Il gancio nel porto che traccia le navi

In particolare il gruppo criminale aveva un prezioso gancio all’interno porto con «la possibilità di tracciare, attraverso postazioni telematiche del porto, tutti i movimenti di navi e container diretti a Gioia Tauro, ed essere in grado di sapere in anticipo quali dei container sarebbero stati oggetto di ispezione (in quanto marcati di colore rosso)».
Dalle indagini è emerso che «le squadre dei portuali addetti allo scarico della cocaina, sempre sotto il controllo delle ‘ndrine, erano aggregati in una sorta di cooperativa, per la vendita presso propri canali della droga acquisita. Parte dei ricavi venivano anche reinvestiti per l’acquisto di maggiori quantitativi di cocaina quando le organizzazioni fornitrici, interessate a sbarcare a Gioia Tauro, ne permettevano la partecipazione con il versamento di quote».

Trecento chili di cocaina dall’Ecuador

Sempre dalle chat criptate era emerso che, perlomeno per il traffico di stupefacente di rilevanti dimensioni, era in atto una forte ascesa delle formazioni albanesi, che disponevano di basi operative avanzate anche in Sudamerica, stabilendo contatti diretti con i principali produttori di cocaina. Ed era stato proprio nel solco di tali condizioni che Antonio Gullì, nel mese di dicembre 2020, aveva gettato le basi per la realizzazione di un progetto che prevedeva l’importazione dall’Ecuador di un ingente quantitativo di cocaina, nell’ordine di 333 chili.

La droga fuori dal porto nel camion della spazzatura

La nave partita dal Sudamerica il 20 dicembre 2020 con a bordo la cocaina nascosta in borsoni all’interno dei container, dopo l’attraversamento dello stretto di Panama, aveva raggiunto il porto di Gioia Tauro l’11 gennaio 2021. A quel punto era entrata in scena la squadra portuale capitanata dal gancio della cosca, per avviare le operazioni di ritiro dei 333 chili di cocaina (col marchio corona impresso sui panetti), occultati con il cosiddetto sistema rip-of (ovvero riporre la droga immediatamente dietro i portelloni del container, in modo da poter essere agevolmente prelevata dai trafficanti durante la sosta delle merci nelle aree portuali). Lo stupefacente era stato poi stato fatto uscire dall’area portuale con l’ausilio di un mezzo ad hoc. Ossia, come emerge dalle intercettazioni: «Camion della spazzatura bianco quello piccolo».

«Il prezioso carico – scrive il gip –, tramite l’impiego di Flaviano Santo - inviato sul posto da Gullì -, era stato stoccato in uno dei depositi nella disponibilità dell’organizzazione, in attesa di essere frazionata in vista della successiva distribuzione in lotti da decine di chilogrammi».

Milano inondata di cocaina

Ancora prima che il carico arrivasse Gullì aveva avvisato Trimboli che 150 chilogrammi potevano essere destinati al mercato milanese: «Dovrebbero essere 150… Il prezzo c’è perché sono di prima mano».
Una volta arrivata la merce Gullì aveva detto a Trimboli che la merce era stata «sotterrata in campagna».

Trimboli avrebbe allora inviato un corriere, soprannominato “Nervoso”, al quale consegnare i primi otto chili di cocaina. «Le operazioni di distribuzione della cocaina arrivata a gennaio dal Sudamerica erano proseguite senza sosta – è scritto nell’ordinanza –. Come affermato dallo stesso Antonio Gullì nel corso di una chat con Antonio Rosario Trimboli vi era necessità di smaltire il carico, in modo da essere pronti per l’ulteriore importazione già in programma: “Compa vedi per favore al più presto… Che stanno preparando lavoro nuovo”». Per i capi di imputazione relativi a questa vicenda il gip ha disposto la restituzione degli atti all’ufficio del pubblico ministero per l’eventuale trasmissione alI’autorità giudiziaria competente, ovvero la Procura di Reggio Calabria.