La prima volta che comparve in un'indagine sul traffico di droga non era ancora maggiorenne. Da allora è riuscito a intessere una fitta rete di legami che lo hanno portato ai vertici del narcotraffico
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La prima volta che il suo nome compare in un’indagine legata al traffico di droga non è ancora maggiorenne. Erano gli anni ’90 e Bartolo Bruzzaniti, coinvolto nell'operazione in Lombardia che ha portato a 38 arresti, viene accusato di essere uno degli ingranaggi di un traffico di droga messo in piedi da suo padre Giovanni. Sarà solo il primo passo di una carriera criminale che porterà il boss, ritenuto organico della cosca Morabito di Africo, ai vertici del marcato mondiale della cocaina.
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Una “carriera” perseguita prima nel torinese, poi a Milano e infine in Costa d’Avorio, nuovo punto di convergenza dei traffici di coca tra il sud America e l’Europa. Bollato dalla Distrettuale antimafia di Milano come uno dei narcos più influenti nel capoluogo lombardo, Bruzzaniti avrebbe negli anni tessuto una fitta rete di affari che lo ha portato a stringere contatti con alcuni dei broker più importanti del panorama criminale legato al narcotraffico.
Di lui aveva parlato Raffaele Imperiale – grossista di droga e arrestato a Dubai dopo 18 anni di latitanza – nei primi verbali successivi alla sua collaborazione con gli inquirenti: «Lo chiamavano Sonny – raccontò Imperiale ai magistrati – ci ho fatto affari solo telematicamente. Affari per milioni di euro senza mai conoscerlo di persona. In due anni abbiamo fatto innumerevoli operazioni, per tonnellate di cocaina. Porti di partenza: Turbo in Colombia e Panama (Cristobal: circa il 70% delle operazioni), forse qualche partenza da Brasile e Ecuador magari con passaggio da Panama, tutti viaggi su Gioia Tauro».
Un’amicizia “pesante” che trova conferma dalle intercettazioni venute fuori dalla decriptazione, ad opera dell’Interpol, dei telefoni legati al sistema Skiecc. In una conversazione finita agli atti dell’operazione Eureka infatti è lo stesso Bruzzaniti ad offrire a Imperiale, poco prima del suo arresto, un rifugio sicuro in Costa d’Avorio, dove da tempo orami il boss calabrese ha spostato parte dei suoi affari: «Compà stoppate poche cose e spostatevi, sentite a me – scrive nella chat fino ad allora ritenuta al sicuro dalle investigazioni – io sono forte in Africa e li posso dirvi che se fate come vi dico e senza via vai, non vi prendono. Io in Africa so che tasti toccare».
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Imperiale non è l’unico pezzo da ’90 nel mondo dei broker con cui Bruzzaniti ha stretto legami solidi e fruttuosi. Nella sua agenda c’è infatti anche il mammasantissima Rocco Morabito, arrestato in Brasile per la seconda volta nel 2021 dopo essere riuscito ad evadere dal carcere di Montevideo. Siamo nel luglio del 2019, da poche settimane Morabito è riuscito a scappare dal penitenziario della capitale uruguaiana dove è rimasto recluso per due anni e freme per tornare immediatamente in affari. A tendergli una mano è proprio Bruzzaniti che lo contatta con la solita chat criptata per imbastire un nuovo traffico sulla direttrice Argentina-Costa d’Avorio-Italia.
«Se troviamo un’imbucata, un paio di uscite quasi matematiche ci sono e le controlliamo noi – scrive Bruzzaniti al broker nuovamente latitante – non dobbiamo dare conto a nessuno… farla arrivare in Africa e poi la mando io. Lì abbiamo tutto sotto controllo e siamo forse gli unici oggi».